The Boy – Recensione
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The Boy è un film Horror/Thriller del 2016, incentrato sulle vicende di una ragazza che, anche per sfuggire a un ex stalker, si trasferisce nella villa inglese di una famiglia per fare da baby sitter al figlio della coppia, desiderosa di una vacanza.

Giunta in loco, la ragazza – la bella Lauren Cohan di The wlaking Dead, vero pregio del film – scopre che i genitori sono eccentrici (pazzi) signori che, perso il figlio ancora bimbo, lo hanno sostituito con un bambolotto, che vestono, nutrono, mettono a letto etc…

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La villa è visitata solo da un fattorino tuttofare che li aiuta a tenere dietro alla consegna di spesa e smaltimento rifiuti e che di fatto diventa il comprimario maschile della storia.

Accudendo il bambino (Pupazzo) si deve seguire una lista di regole semplici ma efficaci che, se se violate, fanno arrabbiare il bambolotto…

Da qui seguono spoiler.

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SPOILER

Il film sembra scivolare in una classica ghost story in cui il bambolotto sia posseduto dallo spirito del bambino morto, con atmosfere e stili che ricordano vagamente Annabelle, Chucky e The others (il bambolotto è timido e non fa cose strane se non sei fuori dalla stanza, impossibilitato a osservarlo).

Il dubbio che un po’ echeggia per tutto il film si scopre verso la fine, quando c’è la conferma che il bambino non è mai morto, ma è diventato un adulto quasi più pazzo dei genitori che vive nascosto fra i muri della Villa, dentro gallerie e passaggi segreti, osservando tutto e di fatto compiendo le mosse e gli spostamenti del bambolotto che lo impersonerebbe bambino… Il tutto con il volto celato da una maschera identica al viso del bambolotto e che, per un istante, lo fa quasi sembrare un enorme bambolotto a sua volta.

Dopo la solita lotta fatta di fughe e accoltellamenti vari, in cui non muore nessuno nonostante un lavoro degno di Giulio Cesare, la ragazza fugge, lasciando un finale aperto in cui scopriamo che il “bimbo” è ancora vivo nella villa… Pronto per un sequel di cui francamente non si sente il bisogno.

Somnia – Recensione
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Somnia (Before I wake) è un film horror del 2016 (diretto e scritto a più mani da Mike Flanagan) incentrato sulla vicenda di un bambino orfano, perennemente affidato a famiglie diverse (che subiscono varie tragedie), di fatto capace di dare vita, in forma materiale, ai suoi sogni e ai suoi incubi… Con il risultato che, se i sogni sono bellissime farfalle meravigliose e permettono di riabbracciare persone care e rivivere momenti passati, gli incubi sono la personificazione di un mostro – “l’uomo cancro” – capace letteralmente di divorare la gente.

L’idea non è nuovissima – concettualmente ricorda “Nightmare” – ma è gestita in maniera originale e conturbante.

Il cast (Thomas Jane e Kate Bosworth) non brilla, nonostante faccia il suo lavoro egregiamente: il bambino protagonista (Jacob Tremblay) è bravo e penso lo rivedremo presto in altre pellicole.

Il film è piacevole, nonostante siano pressoché assenti scene di terrore vero e non conceda particolari tremori o salti sulla sedia.

La trama, costellata di personaggi dalla psiche al limite col patologico (e discutibili come genitori), tende a una involuzione che porta a domandarsi “dove andranno a parare” con il dubbio che finisca tutto in uno dei due modi classici del vicolo cieco: “tarallucci e vino” o “vaccata”.

Da qui seguono possibili spoiler…

Di fatto il finale fonde assieme le due paure precedenti, finendo in un “tarallucci e vino” che è anche “vaccata”: non si chiarisce quasi nulla, né è chiaro il destino dei personaggi, ma veniamo rassicurati (?) che tutto è tornato più o meno alla normalità (?!).

Di fondo tutto gira intorno a una personificazione del cancro che ha divorato la madre del bambino in una entità mostruosa (cosa che si capiva quasi da subito); ma gli autori non si spingono oltre nel dare un senso e una coerenza a una storia che probabilmente non sapevano nemmeno loro dove volesse andare a parare e come finire.

somnia

Ramsey Campbell – L’ultima rivelazione di Gla’aki – Recensione
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L’ultima rivelazione di Gla’aki è un ottimo romanzo weird/horror che non può mancare nella biblioteca degli amanti del genere e degli appassionati dei c.d. Miti di Cthulhu di ispirazione e genesi Lovecraftiana.

Il romanzo segue la ricerca dei volumi che compongono “L’ultima rivelazione di Gla’aki”, pseudobiblium immaginario (simile ai noti Necronomicon o De vermis mysteriis a cui si ispira)  da parte di un bibliotecario. Il protagonista è una persona comune, ben caratterizzata, in cui l’immedesimazione da parte del lettore è totale e coinvolgente. Ci troviamo a vivere nei suoi panni allucinanti giorni, quasi ipnotici e onirici, in un paesino marittimo che richiama profondamente la Innsmouth di Lovecraft, sia nella descrizione, che nel clima e nella “fauna”.

Il romanzo è ricco di dettagli che lasciano presagire l’orrore che si cela dietro la realtà, che il lettore bene coglie, come piccoli sassolini lasciati a indicare la strada, beffardamente incompresi (o incomprensibili) al protagonista, per cui il senso di raccapriccio e alienazione trasmesso al lettore ne risulta amplificato. Tutto conduce al climax finale, dove l’orrore cosmico, di stampo lovecraftiano, si rivela in maniera netta e chiara, presentando un ennesimo Grande Antico, Gla’aki, che va a rimpinguarne l’elenco accanto a Cthulhu & Co.

Forse – unica critica – troppo frettoloso e tenero il finale, in cui ci troviamo lontani dal senso di follia e terrore a cui altri autori ci hanno abituato in simili contesti narrativi: Campbell è quasi dolce e paterno nel suo rapportarci a Gla’aki, lasciandoci quasi desiderare di incappare proprio in lui, se dovessimo scegliere fra i Grandi Antichi, piuttosto che in altri e più terribili suoi pari…

Il volume è corredato da due preziose appendici saggistiche a cura degli impeccabili Danilo Arrigoni e Walter Catalano, che ci introducono Campbell, la sua narrativa, la sua storia e la sua produzione (di cui troviamo anche una preziosa bibliografia italiana completa).

Libro consigliatissimo!

Dal sito di Edizioni Hypnos:

L’ultima rivelazione di Gla’aki

di Ramsey Campbell
(The Last Revelation of Gla’aki, 2013)

“La rarità vittoriana più famosa potrà pure essere un francobollo – il Penny Black –, ma è decisamente comune rispetto al libro più raro dell’epoca. È probabile che in tutto il mondo non sia rimasta neppure una copia de Le Rivelazioni di Gla’aki. […] Da allora nessuna copia è venuta alla luce, e la copia in possesso della Brichester University si trovò tra i volumi distrutti da uno studente alla fine del secolo scorso. Il libro più malefico, o una perdita per la letteratura sull’occultismo? Come il contenuto della biblioteca di Alessandria, Le Rivelazioni di Gla’aki potrebbe essere ormai leggenda.”

Glaaki : Grande Antico abitante in un lago nella valle di Severn nei pressi di Brichester, in Inghilterra. Ha l’aspetto di una gigantesca lumaca ricoperta di aculei metallici che, nonostante il loro aspetto, sono in realtà crescite organiche. Glaaki può anche estrudere tentacoli con gli occhi situati sulle punte, che gli permettono di guardare da sotto l’acqua. Si ritiene che sia venuto sulla Terra imprigionato all’interno di una meteora. Quando il meteorite si è schiantato al suolo, Glaaki è stato liberato, e l’impatto ha creato il lago dove ora risiede.

Nato a Liverpool nel 1946, Ramsey Campbell è il più importante autore horror inglese contemporaneo. Esordisce nei primi anni ’60 con racconti di stampo lovecraftiano, pubblicando nel 1964 con la Arkham House la sua prima raccolta The Inhabitant of the Lake and Less Welcome Tenants. Del 1976 è il romanzo La bambola che divorò sua madre, che lo consacrò nel mondo dell’horror. Ha all’attivo oltre trenta romanzi tra cui i più famosi La faccia che deve morire (1979), La setta (1981, da cui nel 1999 è stato tratto il film Nameless. Entità nascosta, diretto da Jaume Balaguero), Sogni neri (1983), Luna affamata (1986), e Antiche immagini (1989). L’ultima rivelazione di Gla’aki (2013) segna il suo ritorno alla mitologia lovecraftiana.

Campbell è l’autore inglese di genere che ha vinto il maggior numero di riconoscimenti: cinque World Fantasy, tredici British Fantasy, tre Bram Stoker, quattro International Horror Guild.

Laird Barron – La cerimonia – Recensione
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La cerimonia di Laird Barron, purtroppo, non mi ha entusiasmato, nonostante la profonda stima per le Edizioni Hypnos che stanno davvero meritevolmente riscoprendo il weird in Italia con un catalogo di spessore encomiabile.
La storia si sviluppa su più archi narrativi, con locations e momenti temporali differenti, che rendono un po’ spezzato il filo della trama.
Di fondo è una classica storia weird, in cui antiche presenze, culti innominabili ed esseri “alieni” di stampo Lovecraftiano, dominano il retroscena della vita dell’uomo che, sostanzialmente, può trascorrere serenamente la propria esistenza soltanto all’oscuro della reale trama che si tesse fuori dalla sua comprensione, salvo impazzire o sprofondare nell’orrore laddove riveli la verità nascosta e celata. Idea comune a questo tipo di narrativa, insomma…
Quello che però non mi ha soddisfatto è lo sviluppo dell’idea. Il romanzo in buona parte lo ho trovato noioso, incentrato su eventi privi di spessore e interesse e con una prosa non troppo coinvolgente.
Il protagonista soprattutto è il reale problema della trama, perché non permette un vero inserimento nella trama con l’immedesimazione: abbiamo una persona anziana, in cui difficilmente un lettore di media età o giovane riesce a calarsi, che però rende ancor più impossibile tale immedesimazione laddove si scopre essere un personaggio che finisce in avventure rocambolesche, con strani bravacci Messicani o Men-In-Black usciti dal peggiore episodio di X-Files. Manca cioè quella totale “normalità” e “quotidianità” della trama in cui l’orrore sovrannaturale irrompa come solo e vero elemento conturbante che è il meccanismo di sospensione dell’incredulità veramente portante in questo tipo di narrativa.
Trama – Dalla copertina:
Ci sono strane cose che sopravvivono ai margini della nostra stessa esistenza, che ci seguono al limite della nostra percezione, ci osservano dal buio che incombe oltre il calare della notte, solo un passo al di là del confortante calore delle luci. Neri portenti, strani culti, e cose anche peggiori attendono nell’ombra. I Figli dell’Antica Sanguisuga sono fra noi da tempo immemorabile, dall’alba dell’umanità ci accompagnano…
 
Donald Miller, geologo e accademico oggi ormai ottuagenario, da una vita cammina sul ciglio d’un abisso, tra i vuoti di memoria che gli oscurano la mente e certi improvvisi lampi d’inquietanti ricordi, che a tratti lo risvegliano a una realtà sinistra celata appena sotto il tenue velo d’amnesia, la sottile cortina della quotidianità. Sparsi frammenti, ora destinati a convergere verso una rivelazione sconvolgente, ciò che l’Oscurità, l’abisso oltre le stelle, ha infine per noi in serbo.
La nebulosa degli spettri – Vittorio Piccirillo – Recensione
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La nebulosa degli spettri  (Ed. Solfanelli) è il primo titolo di una saga che vanta al momento tre volumi, tutti ovviamente scritti da Piccirillo. Una saga di fantascienza d’avventura che NON può essere persa da chiunque si dichiari fan di Star Trek.

La storia segue infatti le avventure della Pattuglia Stellare, una sorta di sistema di sicurezza o polizia del cosmo, che viaggia attraverso mondi e pianeti per mantenere l’ordine nell’universo.

In questa particolare missione la Pattuglia è alle prese con dei pirati spaziali ed ecco che i ritmi tipici della space opera si fondono con temi e climi quasi Salgariani.

Con una astronave che non ha nulla da invidiare alla Enterprise – del cui equipaggio si ricalca il tenore militare e tecnico dei dialoghi – la pattuglia segue una pista per fermare i pirati, con atmosfere che vanno dai mercanti (alla Star Wars) ai pianeti meno evoluti, a combattimenti a suon di siluri e laser.

Buona la caratterizzazione dei personaggi, per lo più umanoidi dalle bizzarre caratteristiche: il Tenente Declane è il classico comandante imperturbabile; Lah’Komat – di cui il libro segue il punto di vista nella narrazione in prima persona – è un esperto navigatore e tecnico, come  Ne Ashar; Taidanosh è un nerboruto combattente, mentre Sheeda, membro femminile della truppa, è una esperta di armi.

Lo stile di Piccirillo è limpido e gradevole, facendosi leggere con piacere, senza appesantire nemmeno nelle abili scene di world building e approfondimento della scienza o dei costumi.

Un libro che piacerà sicuramente a chiunque ami la fantascienza, confermando ancora una volta la presenza di abiliti autori di questo genere nella nostra “classica” Italia.

Dalla quarta di copertina:

La nebulosa degli spettri appartiene alla “science-fiction”, genere che in passato ha riscosso un vasto consenso e che ancora oggi molti amano sebbene siano rimasti pochi autori, anche a causa della difficoltà di piazzare sul mercato – soprattutto in tempi di contrazione della proposta editoriale – questa fantascienza dai connotati vintage.
È un racconto di “space-opera”, un filone che ha avuto la sua massima espansione negli anni Trenta per poi essere ripreso e aggiornato da scrittori come Poul Anderson e Lois McMaster Bujold, e che ha ispirato kolossal cinematografici come Star Wars di George Lucas o serie televisive fortunate come Star Trek di Gene Roddenberry.
Gli ingredienti sono noti: scenari galattici caratterizzati da singolari manifestazioni di materia ed energia, in cui si muovono massicce astronavi coinvolte in spettacolari battaglie; alieni dai tratti esotici – eppure spesso più umani degli umani – che popolano vasti imperi contrapposti a potenti gilde commerciali dedite a traffici leciti e illeciti.
Nelle vicende della Pattuglia Stellare si ritrovano l’azione e le armi micidiali della Legione dello spazio di Jack Williamson, insieme all’avventura e alle invenzioni al limite del verosimile dei Lensmen di E. E. Doc Smith.
Romanzo dalle reminiscenze salgariane, seppur passate attraverso innumerevoli filtri letterari, gradevole e curato con scrupolo quasi filologico, non mancherà di divertire le vecchie e le nuove generazioni.

Copertina di Vincenzo Bosica [ISBN-978-88-89756-50-8] Pagg. 192 – € 12,00

vittoriopiccirillo

L’Autore:

Vittorio Piccirillo nasce a Milano nel 1967 e successivamente si trasferisce a Lodi, dove attualmente vive e lavora nel campo dell’informatica.
Da sempre ha una spiccata inclinazione per le scienze e per le tecnologie. Modellista dilettante, ha realizzato una piccola flotta di astronavi in scala ridotta e dipinte a mano. Sportivo convinto, pratica attività all’aperto come il trekking e lo sci di fondo.
La fantascienza lo appassiona fin da ragazzo e con orgoglio egli vanta una ricca collezione di libri inerenti al genere, a cui si sono aggiunti in tempi più recenti film e telefilm in videocassetta e DVD.
Ha pubblicato per le Edizioni Solfanelli tre romanzi sci-fi La Nebulosa degli Spettri (2009), La Profezia della Luna Nera (2010) e La voce della distruzione (2013).

 

 

Storie del Necronomicon – Max Gobbo – Recensione
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Voglio consigliare a tutti la lettura del libro di Max Gobbo, Storie del Necronomicon (ed. Tabula fati), che già dalla splendida copertina di Vincenzo Bosica (che si conferma uno dei migliori grafici contemporanei!) si presenta più che invitante.

Il volume è sostanzialmente strutturato come un’antologia di racconti – sulla scia dei maestri pulp che hanno dato vita al genere sulle riviste americane degli anni ’20 e ’30 – facilmente godibili se letti singolarmente, ma in realtà spesso legati da un sottile fil rouge che li lega fra loro.

Il libro è soprattutto un pastiche lovecraftiano, come evidente già dal titolo che richiama subito il famoso pseudobiblium inventato da Lovecraft, ma in molti tratti è parimenti debitore al grande maestro del heroic fantasy Robert E. Howard, sapientemente fuso con l’universo dell’altro grande autore citato. Così, accanto a storie in pieno stile lovecraftiano, troviamo racconti che presentano ambientazioni più fantastiche e addirittura personaggi, come il guerriero Kmer, che sembrano proprio usciti dalla penna di Howard, mentre lo stesso scirttore texano diventa personaggio di alcuni intrecci, in cui realtà e finzione si mescolano sapientemente.

Il libro gioca infatti anche con il mistero e con la realtà, confondendo le carte e portando a domandarsi se le grandi scoperte e inchieste giornalistiche di Jack Shepard esistano davvero (come ce lo si domanda del personaggio), così come da sempre tanti si chiedono se il Necronimicon esista… Forse il testo maledetto è stato anche in possesso di Lovecraft e Howard, come sembra rivelarci questo libro?

Insomma, il volume non può che piacere agli amanti del Solitario di Providence e del mondo che è sorto dalla sua narrativa.

Una nota sullo stile dell’Autore, che richiama esattamente il modello degli autori succitati di pulp, sembrando per certi versi magicamente uscito proprio dalle riviste dell’epoca, come se i racconti fossero degli inediti dei grandi maestri, miracolosamente risorti, piuttosto che l’opera di un nuovo e talentuoso autore. Il testo è scorrevole e si legge con piacere e facile comprensione: Gobbo sembra scrivere in maniera fin troppo semplice, con periodi brevi e taglienti, che non affaticano. Eppure, è sorprendente soffermarsi e notare come lo stile, contrariamente alle apparenze, sia frutto di grande maestria, perché quella linearità è il risultato della scelta perfetta di vocaboli che calcano precisamente il significato che l’autore vuole trasmettere, così che parrebbe impossibile sostituirli con altre parole. Ecco che la “semplicità apparente” si rivela così una grande dote, che porta più di una volta a complimentarsi per la capacità di utilizzare le specifiche parole usate da Gobbo e rendere così nitidamente e rapidamente il senso perfetto che vuole trasmettere.

storie del necronomicon COP new

Dalla quarta di copertina:

Chi commissionò al pittore Ben Yokhai nel 1893 il misterioso dipinto che nel corso del tempo s’è guadagnato una fama fra le più sinistre?
Qual è il contenuto innominabile del diario rinvenuto accanto al corpo senza vita dello scrittore Robert Ervin Howard nel giugno del 1936?
E infine, cosa ha scoperto di tanto spaventoso il giornalista americano Jack Shepherd?
Queste e altre domande troveranno risposta nelle pagine di questo libro che, partendo dal ritrovamento del più aborrito dei distici, narra degli abominevoli segreti che si celano oltre le nebbie impenetrabili dello spazio e del tempo che da sempre avvolgono il “Libro dei morti”.
Ma occorre usare cautela, poiché vi sono saperi proibiti che è bene ignorare, e rivelazioni sconvolgenti che l’intelletto potrebbe non sopportare.

maxgobbo

L’Autore:

 Max Gobbo alias Massimiliano Gobbo (1967), insegnante, nel tempo libero si dedica alla scrittura. Tra i suoi interessi principali figurano la narrativa dell’immaginario, la letteratura e il cinema.
È autore di diversi romanzi e di racconti fantastici come Garibaldi e i mostri meccanici e la Maschera nera, che rileggono in chiave “retrofuturista” la storia d’Italia. Nel 2010 esordisce con Protocollo Genesi edito da Aracne editrice presentato al XXIII Salone internazionale del libro di Torino.
Nel 2012 è finalista a Giallolatino col suo racconto La palude dei caimani.
Nel 2013 ha presentato al festival internazionale di fantascienza, Sticcon di Bellaria il suo Capitan Acciaio supereroe d’Italia edito da Psiche e Aurora editore, con prefazione di Gianfranco de Turris.
Maggio 2014, sulla prestigiosa rivista “Robot” (Delos Books) appare il suo racconto a tema steampunk, L’incontro di Teano.
Luglio 2014, sulle pagine di “IF – Insolito e Fantastico” rivista edita da Solfanelli compare il suo Aeronavi Italiche.
Il 2015 vedrà l’uscita d’un suo nuovo romanzo L’Occhio di Krishna per Bietti Editore.
Attualmente collabora con diverse riviste: “Skan Amazing Magazine”, “Politicamente.net”, “Letteratura Horror”, e col quotidiano on line “Barbadillo”. È curatore della sezione narrativa per la rivista “Antarès”.

Studi Lovecraftiani 14
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È finalmente uscito il nuovo numero di Studi Lovecraftiani, che contiene anche un mio intervento sullo spettacolo teatrale, tenuto a Bologna, dal titolo “L’orrore non si lascia leggere” di Marcello Bonini​ e Roberta Stella Martelli​.

Studi Lovecraftiani #14, Dagon Press, Estate 2016. Copertina di Matteo Bocci.

Acquistabile dallo store Lulu della Dagon Press: http://www.lulu.com/shop/dagon-press/studi-lovecraftiani-14/paperback/product-22758065.html

Il numero 14 di SL si presenta ricco come sempre di saggi e articoli sul mondo dello scrittore di Providence. In questa uscita è inclusa una vera primizia: “Il Sortilegio di Aphlar”, una revisione di Lovecraft di un racconto di Duane W. Rimel rimasto inedito in Italia e tradotto qui per la prima volta. I saggi riguardano Lovecraft e l’orrore cosmico, August Derleth (editore e corrispondente di Lovecraft), i simbolismi del racconto “Celephais”, L’inconscio collettivo nell’opera di HPL, Lovecraft a teatro, ecc. ecc.

Studi Lovecraftiani #14, Dagon Press, Summer 2016.Cover art by Matteo Bocci. Just published the issue #14 of Studi Lovecraftiani, the Italian journal of Lovecraftian studies founded by Pietro Guarriello in 2005. It contains the first Italian translation of “The Sorcery of Aphlar” by Duane W. Rimel, and essays about Lovecraft’s cosmic horror; August Derleth; symbolism in ““Celephais”; the collective unconscious in the works of Lovecraft; Lovecraft and the theatre, and more.

studi lovecraft 14

The Conjuring 2 – Il Caso Enfield – Recensione
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Finalmente è uscito anche in Italia il seguito del film Horror The Conjuring: all’epoca del primo film non curavo ancora il sito come oggi, ma chi mi conosce sa cosa penso di quel film, che reputo uno dei migliori horror dell’ultimo decennio. Peraltro, in generale, al regista James Wan attribuisco i migliori risultati horror e lo reputo un genio: basti ricordare che è dietro a Saw-L’enigmista, alla saga di Insidious (che con Conjuring ha molti punti di contatto) e di altre prove notevoli, fra cui appunto Conjuring 1 e 2.

Il sequel si presenta francamente all’altezza di quanto atteso e sperato: forse leggermente sottotono rispetto al primo film, con un finale frettoloso, tuttavia regala un prodotto ben orchestrato, convincente, con molte scene ben curate e d’effetto, capaci anche di spaventare quanto necessario.

La storia è ispirata a fatti veri (una buona descrizione del caso originale la trovate qua): fine anni 70, Inghilterra, in una casa dove vive una donna con 4 figli (due maschi e due femmine), la più giovane delle ragazzine inizia ad assere vittima e testimone di fenomeni paranormali inquietanti. Lievitazione, oggetti che si spostano, colpi… Un poltergeist? Una messinscena? Il fantasma del precedente proprietario?

caso enfield

Il film da questa storia trae una propria sintesi e interpretazione, inserendo anche una mefistofelica apparizione di un’entità blasfema in abito da suora… Visivamente la figura più dirompente del film, al punto che è già stato annunciato uno spin-off che avrà per “protagonista” questo personaggio (come già accaduto per la bambola Annabelle comparsa nel primo episodio di The Conjuring, poi protagonista di un prequel/spin-off e che rivedremo presto in un altro episodio in uscita nel 2017, verosimilmente da porsi a metà tra gli altri due film).

demon nun

Il contenuto del film, per essere critici, riecheggia molti elementi tipici del genere (come già il primo Conjuring era debitore a L’esorcista, Poltergeist e La bambola assassina) e si può considerare un ennesimo prodotto fatto su misura con una ricetta nota del regista James Wan; nulla di particolarmente nuovo o stupefacente. Eppure, il film – anche forte di questo know-how – offre esattamente il tipo di intrattenimento che promette e deve offrire. La ricetta di Wan non sarà, almeno questa volta, un piatto nuovo, ma è di quelli si mangia sempre volentieri, magari con un bis.

Particolare l’inserimento di alcune scene romantiche o gioiose che, pur rendendo il tutto lievemente più stucchevole, di fatto non influiscono negativamente sul ritmo del film o sull’atmosfera, che nei momenti salienti resta alta e ben orchestrata.

Insomma, se avete amato il primo Conjuring non potete perdere questo nuovo episodio (e se non avete visto altri film tra quelli citati, in particolare Annabelle, gli Insidious o Saw, direi che avete un bel po’ di cinema da recuperare). Senza fretta nell’alzarvi dalle poltrone, perchè nei titoli di coda Wan offre registrazioni audio dal caso originale e un collage di foto di repertorio sempre delal storia vera dietro al film!

Warcraft – L’inizio – Recensione
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Premetto immediatamente che non sono mai stato un giocatore di Warcraft e la mia conoscenza del videogioco è pressoché inesistente, pertanto il mio parere si dirige direttamente alla trama e al film che, in definitiva, ho trovato piacevole e carino, ma non esaltante né una pietra miliare.

La storia tratta di un’orda di orchi che abita un mondo al collasso e che, pertanto, guidati dal loro potente stregone, cercano di conquistare un altro mondo, passando attraverso un portale dimensionale (concettualmente simile al noto Stargate). La magia dello stregone si basa su una energia detta Vil che, di fondo, è l’energia vitale intrinseca di ogni essere vivente. Proprio perché il mondo degli orchi è al collasso, lo stregone non ha abbastanza potere per far passare tutta l’orda e porta con sé un primo esercito, per razziare e conquistare il mondo dei 7 regni (Westeros?) ove catturare viva la popolazione per estrarre altro Vil. Da qui parte un intreccio, che non svelo, che porta il regno degli uomini a fronteggiare l’invasione degli orchi, con l’aiuto del Guardiano (il mago posto a presidio della pace) e di un giovane apprendista, il tutto nel pressochè totale menefreghismo di nani ed elfi che se ne sbattono bellamente.

Il grosso della storia è un collage di cliché che, tutto sommato, raggiunge il suo scopo: offrire una storia fantasy godibile e di totale intrattenimento, che può piacere come annoiare a seconda dello spettatore. Sicuramente non offre nulla di eccelso o particolarmente laborioso o geniale, nonostante il meccanismo in sé sia ben strutturato, pur con palesi forzature o scemenze. Proprio verso la fine del film ci sono una o due scene che indubbiamente spezzano la monotonia e prevedibilità della trama (seppur di poco) e offrono anche qualche dialogo particolarmente seducente, il tutto sostanzialmente predisponendo l’arco narrativo per uno o più seguiti, immaginabili fin dal sottotitolo “l’inizio” dato al film.

Sicuramente l’impostazione video-ludica è fondante: sia a livello grafico che scenico, il film si presenta come un enorme videogioco (o fumetto o cartone). I personaggi sono stereotipati all’inverosimile, la personalità appena abbozzata o approfondita quel tanto che serve a dare un minimo di credibilità alla trama in quei cinque minuti in cui non ci sono duelli o esplosioni. Alcuni dettagli sono indubbiamente privi di senso e l’intera struttura narrativa (almeno per un profano del gioco, ma temo per chiunque) si presenta non immediatamente comprensibile, perché alcuni aspetti – per quanto minuti e banali – sono buttati in mezzo un po’ allo sbaraglio, sostanzialmente richiedendo allo spettatore di accettarli senza contestazioni o attendere lo sviluppo della trama per cercare di attribuirgli il giusto senso e ruolo e significato.

Concludo con una triplice osservazione per i puristi del fantasy:

  1. fin dai primi minuti c’è un inserimento di armi da fuoco, peraltro quasi assenti nel film complessivo, che mi risultano esserci nel videogioco, ma che sicuramente faranno storcere il naso a tutti i puristi del genere (e sinceramente potevano serenamente non essere inserite nel film visto che non aggiungono nulla e alterano vistosamente l’ambientazione);
  2. non chiedetemi i nomi dei personaggi, perchè non me ne resta in mente uno (sì, sono i soliti nomi astrusi da fantasy che la gente odia, ma che di solito io recepisco serenamente, ma non in questo in film);
  3. la magia è quella classica da videogioco. Un mago, in Warcraft, fa un sacco di belle cose piene di luci, colori, energia, barriere, esplosioni, etc… A me è sostanzialmente il tipo e concetto di magia che piace in un fantasy (sinceramente inserire dei maghi che poi alla fine siano poco più di anziani saggi o indovini lo trovo sempre molto sprecato). Però so perfettamente che non è l’archetipo di mago della impostazione classica del fantasy che, già con Tolkien o la Le Guin, di fondo non abusa mai di poteri ed effetti speciali.
Sherlock Holmes & il Necronomicon
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È appena uscito il secondo volume (di 2) del fumetto “Sherlock Holmes & il Necronomicon”, edito da Now Comics (etichetta 001 edizioni), con testi di Cordurié e disegni di Krstic’-Laci: un pastiche che miscela il detective di Doyle con le atmosfere di Lovecraft.

Proprio in questo secondo volume è contenuto un estratto del mio saggio “L’arte grafica di H.P. Lovecraft” edito da Dagon Press.

Una succosa occasione per leggere un buon fumetto e stuzzicare la curiosità per la lettura del mio saggio.