Stephen King + Richard Chizmar – La scatola dei bottoni di Gwendy – Recensione
Share Button

LA SCATOLA DEI BOTTONI DI GWENDY, di STEPHEN KING e RICHARD CHIZMAR è un romanzo breve, pubblicato come sempre da Sperling&Kupfer, che rappresenta la prima collaborazione tra il noto Maestro dello horror americano e questo nuovo e promettente Autore, nato come Editore dell’etichetta Cemetery Dance (che da anni propone edizioni speciali e/o limitate di libri di King, così passato dal ruolo editoriale a quello di co-autore, forte di anni di collaborazioni commerciali).

Trama: Che cosa accomuna una ragazza che non si arrende e un seducente uomo in nero? Una cosa preziosa: la scatola dei bottoni di Gwendy. Gwendy Peterson ha dodici anni e vive a Castle Rock, una cittadina piccola e timorata di Dio. È cicciottella e per questo vittima del bullo della scuola, che è riuscito a farla prendere in giro da metà dei compagni. Per sfuggire alla persecuzione, Gwendy corre tutte le mattine sulla Scala del Suicidio (un promontorio sopraelevato che prende il nome da un tragico evento avvenuto anni prima), a costo di arrivare in cima senza fiato. Ha un piano per l’estate: correre tanto da diventare così magra che l’odioso stronzetto non le darà più fastidio. 
Un giorno, mentre boccheggia per riprendere il respiro, Gwendy è sorpresa da una presenza inaspettata: un singolare uomo in nero. Alto, gli occhi azzurri, un lungo pastrano che fa a pugni con la temperatura canicolare, l’uomo si presenta educatamente: è Mr. Farris, e la osserva da un pezzo.
Come tutti i bambini, Gwendy si è sentita mille volte dire di non dare confidenza agli sconosciuti, ma questo sembra davvero speciale, dolce e convincente. E ha un regalo per lei, che è una ragazza tanto coscienziosa e responsabile. Una scatola, la sua scatola. Un bell’oggetto di mogano antico e solido, coperto da una serie di bottoni colorati. Che cosa ottenere premendoli dipende solo da Gwendy. Nel bene e nel male.

Il libro consta di circa 240 pagine, ma inganna: è pubblicato con un formato tale che, anche per l’ampio uso di pagine bianche ed illustrazioni, pare costituire un corposo volume, ma invece è effettivamente composto da un romanzo molto breve – un centinaio di pagine effettive – che si legge in circa due ore nette (francamente, si poteva salvare qualche albero e pubblicare il tutto in un formato meno pomposo, con un prezzo più contenuto).

L’idea alla base del racconto è intrigante e la storia si sviluppa bene, scorrevole, con il classico stile di King, difficile – penso – da distinguere da Chizmar, a prescindere dal reale ed effettivo contributo di entrambi alla storia (quale che sia l’opinione sull’esistenza di ghost-writer per King, sempre più co-autore dei propri volumi).

La storia rappresenta la classica crescita adolescenziale che appare, come tema caro, in molte delle opere di King, collocandosi nell’immaginario paese di Castle Rock che, per geografia e atmosfera, conferma il classico scenario americano del Maine tipico dell’Autore. Come sempre è magistrale e raffinato l’inquadramento psicologico della protagonista, con grande sensibilità verso il genere femminile, mentre appare più piatta e bidimensionale la figura di Mr. Farris, funzionale esclusivamente all’innesco della trama, comunque ben scritta e coinvolgente.

Tuttavia, ritengo che verso il finale il libro perda parte del suo carisma: senza rivelare nulla, posso dire che laddove la trama poteva sorprendere con idee originali, ritroviamo alcuni cliché tipici (e abusati) di King, peraltro abbastanza previsti e prevedibili, che non apportano alcun pregio al libro, anzi sminuendone la portata e conducendo a un finale piatto e scontato, poco soddisfacente.

Un volume che offre molto poco dal punto di vista dello horror e che comunque può costituire un piacevole divertissement di una serata.

Mark Alan Miller – Hellraiser: Il tributo – Recensione
Share Button

In contemporanea con gli USA, ecco la prima edizione italiana della novella ‘Hellraiser: The Toll’ (2018), in italiano “Il tributo”, romanzo breve che va a inserirsi nella saga di Hellraiser, ideata da Clive Barker e in questo caso scritta da Mark Alan Miller, dopo il romanzo ‘Schiavi dell’Inferno’ (The Hellbound Heart, 1986) e prima di ‘Vangeli di Sangue’ (The Scarlet Gospels, 2015), tutti pubblicati da Indipendet legions.

Sebbene il libro rappresenti un capitolo a metà tra le altre opere, in buona parte mi pare quasi svolgersi in parallelo con Vangeli di sangue e francamente suggerirei comunque di leggerlo dopo aver letto entrambi gli altri volumi, per meglio poter comprendere alcuni riferimenti che altrimenti rischierebbero, a mio giudizio, di restare un po’ impalpabili, se non dei potenziali spoiler.

In questo romanzo breve (circa 90 pagine, con illustrazioni b/n originali di Clive Barker e, in questa edizione, con una splendida copertina di Daniele Serra, già autore della copertina di Schiavi dell’Inferno) ritroviamo il ben noto personaggio di Pinhead, demone con la testa piena di chiodi dell’Ordine dei Cenobiti, ben noto nell’immaginario anche cinematografico della saga; ma ritroviamo soprattutto il personaggio di Kirsty Cotton, già apparsa nel primo capitolo della storia, cioè nel suddetto Schiavi dell’Inferno.

Il romanzo, risponde alla domanda che molti, forse tutti si ponevano, sul destino di questo personaggio umano e mortale, e la sua attuale posizione rispetto all’Ordine dei Cenobiti, separati dal nostro mondo solo da sottilissimi confini che in un attimo possono frantumarsi, trascinandoci nell’orrore. La trama rivela nuovi dettagli anche su Lemarchand, il mitico creatore delle Configurazioni del Lamento, le scatole capaci di evocare i Cenobiti.

Come atmosfera ed eventi, ma anche nello stile, il romanzo è molto più simile al primo capitolo della saga e più distante dal tono “scanzonato” e avventuroso di Vangeli di Sangue: il libro è comunque scritto bene e si legge in grande scioltezza, essendo sintetico e piacevole… Sul finale non rivelo nulla, ma auspico che questo titolo possa anticipare altri spiragli per nuove evoluzioni della trama, magari in un capitolo che prosegua gli eventi laddove si era chiuso Vangeli di Sangue.

Francesca Caldiani – Twizel – Recensione
Share Button

Twizel – che si pronuncia tipo “Tuaizel”- è una località della Nuova Zelanda realmente esistente, apparentemente composta da case ordinate, natura variopinta e splendidi laghi. Ma è anche la cornice in cui si svolge l’omonimo romanzo fantastico, edito da La Corte Editore e scritto da Francesca Caldiani, giovane autrice italiana,  alla sua seconda prova dopo Jonas Grinn, altro romanzo di fantascienza dal taglio Young adult, pubblicato invece da Watson editore.

Trama (dal sito ufficiale): Twizel, Nuova Zelanda. Tutti si conoscono sin dalla nascita. Per Carly Brooks, sedici anni, il villaggio rappresenta l’inferno in cui è costretta a vivere, vittima del bullismo dei compagni. Eppure ha un segreto: la sua migliore amica è stata Lauren Brydon, ragazza molto popolare morta misteriosamente due anni prima in un incidente sul lago Pukaki. Da allora Carly progetta di risolvere il mistero, ma per farlo è costretta a coinvolgere il fratello gemello di Lauren, Bentley e Oliver Riley, da sempre suo carnefice. La ricerca della verità porta i tre ragazzi sulle sponde del lago, dove tutto è cominciato, che farà loro scoprire che dietro a quelle acque cristalline è nascosta un’altra dimensione, un’altra Twizel. Scopriranno inoltre che la loro vita non è quella che ricordano, che la loro memoria è stata in realtà inculcata da qualcun altro e che ci sono più segreti di quanti ne avrebbero mai immaginati.

Il romanzo è etichettato come fantascienza, ma di fatto è quel tipo di genere che io preferisco definire come “fantastico” in generale, perché ha elementi e componenti che fatico a circoscrivere così nettamente in un genere definito e che, anzi, rendono la trama più immaginifica di quanto l’etichetta fantascientifica porterebbe inizialmente a ipotizzare, quasi parendo riduttiva alla fantasia dell’Autrice.

Francesca Caldiani ha uno stile molto asciutto e veloce, quasi tagliente: frasi brevi, ma efficaci, che con pochissime parole – quelle giuste – sanno esattamente trasmettere il concetto che vogliono. Uno stile che ricorda quello di Autori d’oltreoceano, in questo maestri rispetto a molti europei, a dimostrare che anche in Italia, fra nuove generazioni, esistono Autrici capaci di fare altrettanto. E bene.

Accanto alla Twizel reale, si cela un’altra realtà parallela, di fatto di natura psichica: una sorta di limbo mentale, in cui solo alcune tipologie di persone riescono ad accedere, rispondendo geneticamente più o meno bene a una sostanza delle acque del lago Pukaki, la Prointermina, descritta così bene dalla Caldiani che vi troverete a cercarla su Wikipedia… In questa sorta di realtà virtuale di natura psichica, ecco prendere piede una realtà alternativa, dove la capacità di creare con la mente può rendere dei veri e propri esseri potenziati, in uno stile che ricorda gli eroi dei fumetti Marvel o il mondo di Matrix.

“E se tutto quello che ricordi non fosse reale?” è la grande domanda che sorregge la trama del romanzo, che in realtà porta a indagarsi sulla vera natura della mente e dei ricordi, delle nostre percezioni ed emozioni, in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia e dal virtuale, a scanso di quelle piccole “carezze” della vita, attimi o istanti veri, che soli ci sanno davvero scuotere nel profondo. Cos’è infatti la vita, se non un evento psichico all’interno della nostra percezione sensoriale e mentale, una solipsistica prigionia in un mondo di ipotesi e verifiche?

Tutto questo porta a domandarsi l’Autrice, in una trama che ricorda scene e ritmi dei serial televisivi moderni, con atmosfere e personaggi che, iniziando in una Twizel reale che ricorda una Castle Rock di Stephen King, porta allo sviluppo dei personaggi sia in un senso sentimentale (in stile Young Adult e romantico), sia in un senso più dinamico, in cui teorie “fantascientifiche” (talvolta persino complesse) si intrecciano con scene di azione e un susseguirsi di colpi di scena, affatto scontati, in un ritmo sempre più incalzante e crescente verso il finale…

Un finale “aperto” che lascia la voglia di leggere ancora di questi personaggi, di cui sicuramente troveremo presto altre avventure.

L’Autrice: Francesca Caldiani, Avvocato e scrittrice di Bergamo, appassionata di fantascienza, si è fatta conoscere al grande pubblico con Jonas Grinn, romanzo per ragazzi pubblicato da Watson Edizioni. Twizel è il primo romanzo con La Corte Editore.

FrancescaCaldiani

Robert E. Howard – Kirby O’Donnell (Ed. Deluxe) – Recensione
Share Button

Ho già avuto occasione di parlare della Providence Press (con cui ho avuto il piacere di collaborare per il primo numero della rivista Providence Tales) e, in particolare, di un altro volume di questo editore dedicato a Steve Harrison, il detective di R.E. Howard.

Recentemente è uscito proprio un nuovo volume del prolifico autore texano R.E. Howard: si tratta della raccolta di racconti del personaggio, inedito in Italia, del cercatore di tesori Kirby O’Donnell. Il volume è uscito sia in edizione in brossura (192 pagine a euro 17,90), sia in una edizione di lusso, a tiratura limitata e numerata di sole 79 copie (al prezzo di € 39,00), rilegata in tela, con sovra-copertina a colori, segnalibro in filo di seta e un inserto a colori, con altre copertine dedicate al personaggio in altre edizioni/lingue e illustrazioni di vari artisti (splendida la immagine di copertina di Iosif Chezan).

Il contenuto differisce, perché l’edizione di lusso, oltre al ciclo completo di O’Donnell che conferisce titolo al volume, contiene anche il mini-ciclo di Lal Singh, comprimario della saga di El Borak (di prossima pubblicazione da parte sempre di Providence Press), di cui questa edizione limitata contiene il ciclo completo dei racconti in solitaria (sempre inediti in Italia).

Il contenuto del volume quindi è il seguente:

I racconti:
La Pista del Dio Insaguinato

L’Oro dei Tatari
Spade di Shahrazar
Incipit originale di Spade di Shahrazar (frammento)
Il saggio introduttivo:
Kirby O’Donnell, il Grande Gioco di un cacciatore di tesori di Giacomo Ortolani.
E il Glossario linguistico, storico e geografico.

contenuti EXTRA esclusivi dell’edizione Deluxe sono:

Il ciclo completo di Lal Singh, sempre ad opera di Robert E. Howard, con i seguenti racconti:
La Storia dell’Anello del Raja
Le Nuove Avventure di Lal Singh (frammento)
Lal Singh Gentiluomo Orientale
La Spada di Lal Singh (poesia)
Il saggio introduttivo:
Lal Singh di Lahore, guerriero e gentiluomo di Giacomo Ortolani.
Inserto a colori con le copertine delle edizioni internazionali che hanno presentato, a partire dagli anni ’30, le avventure di Kirby O’Donnell.

Ovviamente parlerò dell’edizione deluxe, sia perché più completa, sia perché consigliata.

Entrambi i personaggi sono avventurieri di grande realismo: questi cicli non sono fantastici, sebbene a tratti, soprattutto nelle storie di O’Donnell, vi siano atmosfere o scene che suggeriscono o ricordano l’Howard più weird e stregonesco (La Pista del Dio Insanguinato avrebbe avuto quasi tutti gli elementi per poter diventare una perfetta storia di Conan il Barbaro).

Tuttavia, sono dei personaggi pulp di grande spessore, che regalano momenti di grande azione e coinvolgono, quasi rapiscono, nelle loro avventure, che scorrono divorando le pagine: O’Donnell, per molti elementi – tanto del personaggio, quanto delle situazioni – ricorda moltissimo il personaggio cinematografico di Indiana Jones, al punto che mi sono chiesto se possa essere stato un modello per l’eroe di celluloide. Per certi versi mi ha ricordato anche il nostrano Tex Willer e sicuramente, in queste storie, troviamo l’elemento dei proiettili e delle armi da fuoco, con ricche sparatorie, che rappresentano un altro modo di conoscere lo stile di Howard, che nei suoi cicli più noti non prevede le armi da fuoco ontologicamente.

Peculiare anche, come rilevato da Ortolani per primo, che un racconto e il frammento di Lal Singh siano scritti con un Io narrante in prima persona, altro elemento rarissimo, forse unico, per lo stile di Howard. Circa questo secondo personaggio, ci troviamo dinnanzi a storie dal tenore similare alle prime, ma meno epiche di quelle di O’Donnell. In Lal Singh, invece, svettano l’ironia e l’intreccio quasi da commedia che contraddistinguono le avventure di questo vigoroso Sikh, ladro e truffatore, quasi un Lupin orientale… Il solo così intelligente da saper ingannare persino Marendra Mujerki, altro personaggio di cui sappiamo troppo poco e che, specie il frammento, ci lascia con la voglia inappagata di incontrare ancora in altre incredibili avventure…

Come sempre sono ottimi anche gli apparati redazionali, ricchi di foto d’epoca, e curati dal sempre eccellente Giacomo Ortolani, che firma anche un glossario dei numerosi termini stranieri che compaiono nel testo e che rappresenta una bussola davvero preziosa nell’ermeneutica di un testo che, nonostante questi vocaboli ricercati (impressionanti per un americano come Howard dei primi del ‘900) in alcun modo vede inficiata la scorrevolezza e godibilità del testo, sempre molto dinamico come solo Howard sa essere.

Per dettagli:

Pulp Fiction Deluxe

 

Libro Kirby O’Donnell Cacciatore di Tesori

 

Clive Barker – Vangeli di Sangue – Recensione
Share Button

Mentre è stata annunciata la prima edizione italiana della novella ‘Hellraiser: The Toll’ (2018), in italiano “Il tributo”, sequel canonico, ideato da Clive Barker e scritto da Mark Alan Miller, di ‘Schiavi dell’Inferno’ (The Hellbound Heart, 1986) e prequel di ‘Vangeli di Sangue’ (The Scarlet Gospels, 2015), ecco che mi pareva opportuno soffermarmi su una mia personale riflessione in merito proprio a quest’ultimo romanzo, pubblicato in italia sempre da Indipendet legions.

Vangeli di sangue rappresenta l’ultimo (almeno per ora) capitolo della saga di Hellraiser, nota anche per i film omonimi, fortemente incentrata sul personaggio di Pinhead, demone con la testa piena di chiodi, sacerdote del dolore e del piacere, nell’Ordine dei Cenobiti.

Il romanzo, oltre alla presenza di Pinhead, presenta anche un altro personaggio celebre di Barker, il detective dell’occulto Harry D’Amour, apparso in alcune altre opere barkeriane come il 6° vol. dei Libri di sangue e il romanzo Everville.

Il romanzo si apre con una scena a fortissimo impatto splatter, che rappresenta il più compiuto legame dell’opera con l’universo cenobitico e anche con la saga cinematografica.

Poi, la prima parte della storia si incentra proprio sul personaggio del detective D’Amour, ed è sicuramente la parte migliore del romanzo, toccando alcune delle migliori vette in materia di horror moderno e di occultismo. D’Amour è molto amico di una medium cieca, di nome Norma, che fondamentalmente utilizza i propri poteri per aiutare i fantasmi di persone recentemente morte che, nella fretta del trapasso, hanno lasciato alcune questioni in sospeso: coinvolto nel caso di in uno di questi peculiari clienti, D’Amour entra in contatto con la scatola di Lemarchand e con i Cenobiti.

D’Amour è ricoperto di importanti tatuaggi dalle forti valenze occulte e medianiche ed è versato nella conoscenza di incantesimi e cose spiritiche: sono questi gli elementi che sviluppano un personaggio incredibilmente solido e che rendono così intrigante e pregevole questa parte del romanzo. La sospensione dell’incredulità nel lettore opera sapientemente, proprio perché l’intero sistema di leggi che regolano il mondo spiritico, in contatto con il nostro, è strutturato con una coerenza e una abilità di rara qualità.

Entrando in contatto con Pinhead, però, la trama prenderà una piega e un taglio molto diversi: ne deriverà la spedizione di un manipolo di eroi, capitanati proprio da D’Amour, in una discesa nelle viscere dell’Inferno (dalle forti assonanze con il viaggio Dantesco), attraverso la città dei dannati e il monastero dei cenobiti, incontrando tribù di demoni e creature abissali, fino alla cattedrale di Lucifero, dove l’Angelo Caduto attende ancora… Fino allo scontro finale tra le due creature archetipali: il demone cenobita Pinhead e proprio Lucifero.

Questa parte del romanzo, che sfocia in duelli molto violenti, ha una struttura che ricorda più il fantasy che lo horror e, appunto, rappresenta una sferzata sensibile rispetto alla prima parte del romanzo, francamente forse deludendo un po’: la trama riceve sviluppi molto d’azione, anche banali se vogliamo, allontanandosi da quel complesso di teorie occulte che invece inizialmente ammaliava tanto e prometteva troppo… Nonostante il finale del libro sia affatto scontato o banale, anzi… Ma non rivelo troppo!

Lo stile di Barker è come sempre egregio e i dialoghi sono sempre ben strutturati e funzionali alla narrazione.

L’edizione è ben curata nonostante il carattere sia lievemente piccolo e la tipologia di stampa non sia eccelsa (la copertina è molto sottile) e potrebbe invogliare ad acquistare l’edizione di lusso, in edizione numerata e limitata, caratterizzata da carta di qualità, rilegatura e immagini esclusive.

vangeli sangue

Abraham Merrit – Il vascello di Ishtar – Recensione
Share Button
Finalmente ripubblicato, dopo molti anni di assenza dagli scaffali delle librerie italiane, il romanzo “Il vascello di Ishtar”, di Abraham Merrit, per l’editore Il Palindromo, nella meritevole collana I tre sedili deserti: note e traduzione di Giuseppe Aguanno, introduzione di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, con un saggio di Andrea Scarabelli e illustrazioni di Virgil Finlay.
Specifiche: gennaio 2018, pagg. 472, 15x19cm, bross. b/n, prezzo 26€ – ISBN: 978-88-98447-32-9

La trama, dal sito dell’editore: «John Kenton, appena tornato a New York dall’esperienza devastante della Prima guerra mondiale, riceve uno strano oggetto rinvenuto durante una campagna di scavi in Medio Oriente: un blocco di pietra al cui interno è custodito un piccolo vascello di gemme intagliate. Kenton non lo sa ancora, ma il manufatto è uno stargate, la soglia per un’altra dimensione, un mondo dove il suo coraggio dovrà scontrarsi con l’acciaio delle spade e la potenza di ancestrali divinità in lotta, e in cui ritroverà la voglia di vivere sperimentando la passione di un amore fuori dal tempo. Questo volume contiene la prima versione de Il vascello di Ishtar, pubblicata originariamente nel 1924 e inedita in Italia. Il romanzo è accompagnato dalle illustrazioni originali dell’epoca e da un ricco corredo di apparati critici. Abraham Merritt (1884-1943), maestro del fantastico e noto giornalista, è tra i pionieri e più apprezzati autori di letteratura fantasy. Stimato da H.P. Lovecraft e Clark Ashton Smith, tra le sue opere si ricordano: Il pozzo della luna (1919) e Gli abitatori del miraggio (1932).»

La storia fu originariamente serializzata sulla rivista americana Argosy All-stories, tra il novembre e il dicembre del 1924, in 6 episodi ed ebbe un grandissimo successo, al punto da essere votata come una delle storie più apprezzate dal pubblico ed essere eletta dai lettori nel 1938 come migliore storia della rivista, scalzando il ciclo di Tarzan di Burroughs (come peraltro ben chiarito nell’ottima nota biografica su Merrit in appendice al presente volume e opera della brava Maria Ceraso). Merrit fu un autore molto noto e apprezzato della sua epoca (addirittura una rivista fu battezzata in suo onore: A.Merrit’s fantasy magazine) e seppe ispirare molti grandi Autori (persino il ciclo di Cthulhu di Lovecraft potrebbe avere ricevuto suggestioni da The Moon Pool del 1918 di Merritt).

Ho voluto così introdurre l’Autore, perché ritengo che questo volume sia un tassello fondamentale di un percorso di narrativa fantastica in cui il carisma del suo creatore sicuramente ha influito positivamente. Sarebbe difficile e forse superiore alle mie competenze risalire alla prima opera fantastica in cui via sia un passaggio  tra i mondi, elemento già presente in Virgilio o Dante se circoscritto ai regni ctoni infernali, ma tema sicuramente di grande moda all’inizio del 1900: Il vascello di Ishtar mi ha ricordato alcune atmosfere de “La terra dell’eterna notte” di Hodgson e, per tornare a Burroughs, ha alcune assonanze con il ciclo di Carter di Marte o, persino, per impostazione della trama e intreccio dei personaggi e delle scene, con i fumetti di Flash Gordon.

Kenton, protagonista di questo romanzo, tramite il simulacro del vascello riesce di fatto a trasferirsi in un’altra epoca, quasi un altro mondo, dove persino lo scorrere del tempo è differente: qui recupera un ruolo eroico che nel nostro mondo non aveva. Inizialmente la scena è collocata sul vascello, diviso e separato tra il Prete Nero, Klaneth, tramite e celebrante del Dio della Morte Nergal, rappresentante delle tenebre, e le adoratrici di Ishatar (dea dell’Amore), tra cui la splendida sacerdotessa e tramite Sharane, di cui il protagonista si innamorerà. Kenton, passerà da schiavo a capo di una rivolta che prenderà il controllo della nave, con il passaggio di alcuni personaggi (Jiji e Zubran), inizialmente nemici, tra le file dei buoni, oltre all’amicizia con un altro schiavo (il vichingo Sigurd), tutti grandi comprimari della storia.

La religione e la mitologia sono elementi vivi e vivificanti del romanzo, che spazia dai miti mesopotamici a quelli nordici, creando un interessante intreccio, in cui il ruolo degli dei si affianca a quello dei personaggi, un po’ come nell’epica Omerica o, venendo ad Autori più recenti, nei cicli di Elric e Corum di Moorcock.

Dovremo aspettare gli anni ’70 per recuperare mondi divisi tra più piani (e divinità), come appunto in Moorcock o Zelazny fino al più recente Stephen King della torre nera, ma trovo che raramente – nemmeno tra alcune pagine di quest’ultimo ciclo del maestro dello horror contemporaneo, a tratti veramente immaginifiche – troveremo una più efficace e compiuta descrizione dei mondi paralleli come quella presente in questo romanzo e che vale la pena citare: «Di fronte aveva una vasta nebbia: vapori globulari argen­tei discendevano su di lui; il ventre curvo di un altro mondo. Quel mondo si stava scontrando col suo? No! Vi si stava sovrapponendo! La consapevolezza giunse subitanea e fugace: in quella minima frazione di tempo gli si manifestò come un’illuminan­te intuizione, sola chiave verso l’inesplicabile. Grazie ai lumi di questa rivelazione, Kenton vide la pro­pria Terra non per quello che sembra, ma per ciò che è: una vibrazione eterica negli intervalli tra le pulsazioni elettroniche di mondi su mondi che si intersecano, mondi originati dalla forza primigenia di cui queste vibrazioni sono espressione, nelle forme a noi note e in quelle che ignoriamo. Si figurò questi mondi e il proprio come un ammasso di elettroni: in verità ognuno di essi era piuttosto lontano dai propri simili, così come i pianeti, ben distanti l’uno dall’altro e dal sole. Attraverso gli abissi dello spazio, tra queste particelle, vide miriadi di congerie affini suddivise in globi nascosti e invisibili: ciascuno orbitava roteando senza inter­ferire con gli altri, eppure questi si incontravano, si compe­netravano, intrecciandosi. Mondi che si incrociavano secondo frequenze differenti, più alte o più basse, nella totale inconsapevolezza di queste tangenze. Mondi che si muovevano attorno e attraverso di noi, che si trovavano a coincidere in modo casuale, come segnali radio intercettati da un apparecchio non sintonizzato. Mondi sovrapposti come flussi di informazioni che, senza interferire l’uno con l’altro, scorrevano insieme sullo stesso cavo, grazie alla diversità delle vibrazioni. Il vascello di Ishtar navigava su uno di questi mondi paralleli. Il gioiello di gemme non era l’imbarcazione stessa, bensì una chiave capace di aprire un passaggio dalla dimensione d­i Kenton verso quella del vascello: un dispositivo che adattava le vibrazioni materiche del suo corpo a quelle del mondo della nave

Dopo la parte di trama sul vascello, e prima della conclusione – affatto scontata – della storia nella medesima sede, ecco che un’altra parte del romanzo si sposta sull’Isola di Emakhtila, dove accanto a nuovi personaggi, abbiamo alcune delle parti più evocative dell’opera, con toni aulici tali da ricordare quasi antichi poemi o testi sacri: come accennavo, il ruolo della mitologia è fondamentale in quest’opera, senza diventare pesante. Se ne ricava la profonda, davvero magistrale conoscenza di Merrit per la materia, che l’Autore tratta con completezza, rendendo appunto mito e divinità essenziali alla storia e alla trama stessa, in un modo che forse segna davvero il passaggio epocale del fantasy, per cui mi spingo a definire questo volume un tassello fondamentale del genere. Dopo Merrit, ci vorrà molto tempo prima che gli dei tornino a essere talmente rilevanti nell’immaginario, o perché partoriti direttamente da un mitopoieta dello spessore di Tolkien, oppure perché giovani autori, a partire da Zelazny appunto fino a un Gaiman odierno, sappiano recuperare il fascino che un intreccio tra vera mitologia antica e fantastico contemporaneo possano portare: ciò che oggi ha dato vita al genere urban fantasy, in nucleo già anticipato anche dal capolavoro Malpertuis di Jean Ray.

La storia è ben realizzata, alternando scene più poetiche e visionarie a numerosi duelli e battaglie, persino navali, caratterizzate da grande ingenio e descrizioni a tratti quasi macabre e gore.

Non posso che consigliarne la lettura agli amanti del fantasy e dell’epica, con il lieve avvertimento di prepararsi a un testo dallo stile ovviamente di inizio ‘900, che però non dovrebbe appunto stonare ai veri lettori del genere, che appunto avranno sicuramente dimestichezza con i capisaldi, tutti circa di questo periodo.

Una nota finale sull’edizione: di grande qualità, raccoglie le splendide illustrazioni di Finlay (vero maestro dei pulp anni ’30), e fornisce anche i vari apparati critici già menzionati. Ottimo il glossario dei termini mitologici, utile a una migliore comprensione del testo, e liminale l’introduzione di spessore di due Maestri come De Turris e Fusco. Ma soprattutto voglio plaudere all’ennesimo contributo di Andrea Scarabelli che, nonostante la giovane età, oggi si presenta sul panorama letterario italiano come forse il solo e più sapiente dei saggisti ESOTERICI, nel senso più aulico e accademico del termine. Nel suo mysterium coniunctionis riesce a recuperare il valore magico delle parole, per passare a trattare di narrativa fantastica fino a spingersi a spiegare (con citazioni di Autori di ambito filosofico e antropologico, assai più sapienziale del “banale” genere fantastico) temi come l’eterotopia, la ierogamia e la teogamia, facendoci riflettere sul vero significato del fantasy che, non a caso, viene chiamato in altri Paesi come Speculative fiction. Perché cos’è il fantastico se non il modo moderno di rappresentare miti Platonici, idee e archetipi, antichi come il tempo e l’inconscio umano?

Sabrina Lardini – Sleeping Sun – Il canto di Mana: libro 1 – Recensione
Share Button

Dalla quarta di copertina:

Noriko non è una qualunque sedicenne americana: è una ribelle dall’animo sensibile, in cerca di emozioni che soltanto la natura, custode di antichi misteri, è in grado di donarle. È nella campagna della Napa Valley, in California, che il suo spirito romantico si sveglia, e sono i vigneti dell’azienda agricola di famiglia che custodiscono i suoi ricordi più preziosi legati al padre, scomparso prematuramente. Un pomeriggio la giovane, colta da un improvviso acquazzone, si rifugia in una casa abbandonata dove incontra la misteriosa Mana, sfuggente e ritrosa come un gatto selvatico. Il destino fa sì che le due siano compagne nel nuovo anno scolastico al liceo di Saint Helena, ma ciò non impedisce che tra le due si instauri una feroce rivalità: Noriko, esuberante, spavalda e istintiva, si scontra con la determinazione e la freddezza della seconda, ma presto scoprirà quanto la presenza di Mana sia provvidenziale alla sua vita problematica, tra professori violenti, liti in famiglia e amori non corrisposti.
Vivendo i piccoli e i grandi drammi della gioventù, Noriko varcherà la soglia di un mondo che si cela nell’ombra e verrà a conoscenza di una guerra segreta nella quale lei e Mana hanno un ruolo fondamentale.
Sleeping sun è il grido di un sole ardente di pace e giustizia, la promessa di un nuovo ordine in un mondo dispotico, un sentimento ruggente di amore e libertà.

 Cover-SleepingSun-fronte

Sleeping Sun è il primo libro (edito da EKT Edikit) per il ciclo de “Il canto di Mana”, di una giovane autrice esordiente lombarda, Sabrina Lardini (classe 1991).

Si tratta di un fantasy atipico, che potremmo inserire nel filone oggi molto in voga c.d. Urban fantasy e Young adult: storie in cui i protagonisti sono giovani che affrontano i problemi della quotidianità e dell’adolescenza, ma in un contesto in cui il nostro mondo contemporaneo si impregna di elementi magici e fantastici che descrivono un’altra realtà possibile, fatta di mito e magia, appena accanto alla nostra, nascosta solo da un labile velo.

Il libro, infatti, per una dose importante, potrebbe essere un classico romanzo di formazione, leggibile come tale anche da chi non ami il genere fantastico: incontriamo Noriko e assieme a lei scopriamo i drammi della sua infanzia, il difficile rapporto con la madre e il nonno, l’affetto per il fratellino, ma anche le difficoltà di una vita scolastica costellata di bullismo e rare amicizie, di amori non ricambiati, di professori e figure adulte talvolta al margine con la violenza o l’illegalità.

Partecipiamo al difficile triangolo amoroso che coinvolge Noriko e i suoi migliori amici, Grey e Nina, ma viviamo anche un altro complesso rapporto d’affetto verso Shiroi, esempio del classico ragazzo più grande, affermato, che tanto affascina figure più giovanili e ancora legate al mondo scolastico.

Soprattutto, scopriamo il misterioso ruolo di Mana, nuova studentessa appena arrivata a scuola, all’inizio acerrima rivale di Noriko, che poi diventa sempre più essenziale nella vita della ragazza, stravolgendola e portandola gradualmente alla comprensione di un mondo più vasto.

Un mondo in cui c’è posto anche per un’antica Dea, Hakidonmuya, l’origine di tutta la magia, le cui discendenti camminano ancora sulla terra: veniamo a conoscenza dell’antico popolo delle fate, di un complotto che ha sancito la fine del loro regno, fino a un’ intestina lotta secolare che vede sterminare tra loro famiglie appartenenti alla stessa società magica.

Accanto a sciamani capaci di tramutarsi in animali, e ai Pendolum, capaci di alterare il tempo, o agli Ubiquum, capaci di alterare lo spazio, ed ancora altre tipologie di famiglie dotate di diversi poteri magici, ci sono però i Cacciatori: esseri magici che ripudiano la loro natura e vogliono anzi annientare le fate per poi imporre il loro dominio sul mondo degli umani.

All’oscuro di tutto, infine, ci sono gli Ibridi: esseri a metà tra le fate e gli umani, confusi tra i mortali e ignari della loro vera natura e del loro ruolo nel conflitto. Dei “sonnambuli”, pronti a svegliarsi come il “sole” del titolo.

Chi tra i personaggi della storia si rivelerà un Ibrido? Chi una fata o un mago? Qual è il ruolo di Kachina, la discendente diretta di Hakidonmuya, in questa storia e con quale Ibrido inconsapevole cerca di entrare in contatto, alla ricerca di un Barrier, il più raro tra gli esseri fatati, capace di annullare il potere dei Cacciatori e rendersi introvabile?

Molte di queste domande restano aperte, in un volume che volutamente invita a quello che sarà il proseguimento della storia, iniziando con il farci conoscere bene i personaggi e le loro storie e personalità, in una vicenda che spazia tra varie situazioni, miscelando sfumature prettamente americane con altre dal sapore orientale e persino con saltuari riferimenti ai manga (questo libro avrebbe tutti gli elementi per essere tramutato in un ottimo Shojo delle Clamp).

Resta da fare un commento tecnico: è evidente che questo tipo di storia e trama (e ambientazione) può piacere o non piacere e forse offre spunti più per lettrici, data anche la sensibilità dell’Autrice. Eppure, bisogna complimentarsi con la Lardini per lo stile: è raro trovare un Autore esordiente che scriva così bene – soprattutto considerando la lunghezza del testo di oltre 400 pagine! – in una trama in cui sono rari i cali di tensione e francamente scusabili anche i pochi passi che possano mostrare uno stile ancora in formazione (qualche dialogo magari più ingenuo o qualche termine meno scorrevole o desueto).

In definitiva si tratta di un buon libro, che mostra l’esistenza anche in Italia di Autrici del fantastico che nulla hanno da invidiare alle anglofone Meyer o Rice, tanto per citarne due…

Un libro di cui consiglio la lettura, soprattutto al pubblico femminile che ama le love-story intrise di mistero e magia e personaggi oltre l’umano, ma su di un palcoscenico molto abitudinario, come potrebbe essere una nostra città o anzi un piccolo paese di provincia.

Un libro che, però, lascia la voglia di continuare la storia… Facendo attendere il secondo volume de “Il canto di Mana”!

Disponibile sia in cartaceo, al prezzo di 15,00 euro, che in ebook al prezzo di soli € 2,99!

L’Autrice:

Sabrina Lardini

Sabrina Lardini nasce a Voghera nel 1991. Laureata in Lingue e Culture moderne all’Università di Pavia, attualmente lavora per il secondo libro della saga Il canto di Mana, di cui Sleeping sun è il primo capitolo. Fra i suoi interessi rientrano la lettura dei grandi classici, dei romanzi di avventura, horror e fantasy.
Sleeping Sun è il suo primo romanzo.

http://www.ektglobe.com/prodotto/sleeping-sun/

E.G. Swain – Gli spettri della chiesa di Stoneground – Recensione
Share Button

Ho già avuto il piacere di parlare della Providence Press (con cui ho avuto il piacere di collaborare per il già esaurito primo numero della rivista Providence Tales) in varie occasioni: sia parlando del volume dedicato a Harrison, il detective di R.E. Howard, sia per l’antologia del sorprendente William Chambers Morrow, Il creatore di Mostri, ed ecco che nella stessa collana Silver Key arriva un terzo volume; la sola antologia rimasta di E.G. Swain – per suo espresso volere di oblio su altre opere – appartenente al filone delle storie di fantasmi inglesi.

Swain, infatti, amico di M.R. James (a cui dedica l’antologia), ha raccolto in questo volume l’eredità dell’amico, realizzando 9 storie di fantasmi davvero sorprendenti e originali: se James è fra gli indiscussi Maestri del genere – ricordato anche da Lovecraft – ecco che Swain non ha molto da invidiargli, sapendoci offrire delle storie dalle atmosfere davvero credibili e inquietanti.

Dal sito dell’editore: Roland Batchel è il vicario dello sperduto villaggio di Stoneground. È un amabile gentiluomo, appassionato di libri e antiquariato. Ma Stoneground è infestata da misteriose apparizioni sovrannaturali e toccherà al mite reverendo indagare sulla natura di questi fenomeni. Venite anche voi a Stoneground, per un viaggio nel passato con la grande tradizione inglese delle storie di fantasmi.

Il volume contiene il saggio introduttivo C’era una volta un vicario che abitava a Stoneground: la ghost story secondo il reverendo E.G. Swain di Giacomo Ortolani, come sempre ottimo, e nove racconti: L’uomo con il rullo; Ossa alle ossa; La famiglia Richpin; La finestra a oriente; Lubrietta; Il giardino di rocce; Il paralume indiano; Il luogo sicuro; Lo spettro della chiesa.

Caratteristiche del volume: brossurato 14,8×21; 160 pagine; euro 14,90.

Ottima la grafica e la fattura, come sempre per questo editore.

stoneg

Ho letteralmente divorato questo volume, che trovo spettacolare, perché ho apprezzato sia lo stile, molto piacevole, sia la descrizione delle scene, con atmosfere davvero inquietanti, ma anche la coerenza e credibilità con cui è trattato il tema degli spettri e revenants (o apparizioni extracorporee), nonché il modo in cui il Vicario li sa affrontare. Altre parti dei racconti, invece, hanno una vena ironica davvero coinvolgente e divertente, al punto da saper stemperare i racconti con risate e leggiadria (memorabile il personaggio di Wardle).

Batchel non è un vero detective del sovrannaturale e questi racconti raramente si abbandonano a banale gore: si tratta invece di racconti in cui l’atmosfera è fondamentale e in cui l’elemento del sovrannaturale giunge a sovvertire le regole della normalità, a volte in senso negativo, a volte persino positivamente, con la posizione del Vicario – appassionato d’antiquariato di grande pacatezza – che si trova a saperne comprendere e gestire le intime regole.

In generale, anzi, non manca quasi un alone di Provvidenza divina nella posizione del Vicario e/o delle entità con cui egli si trova a confrontarsi, in un senso escatologico non molto frequente, anzi quasi assente, in molte altre opere del genere, con una importante eccezione: molte atmosfere di questi racconti, più di altri, infatti, mi hanno ricordato certe storie del Carnacki di Hodgson, al punto da interrogarmi sui possibili contatti tra questi due Autori, almeno a livello di reciproca lettura…

Francamente poche volte, in vita mia, mi sono trovato a leggere un testo senza sapere cosa attendermi e ritrovarmi così soddisfatto dalla scoperta: davvero un recupero di un Autore, quasi assente in Italiano, che merita un encomio e che porrei a fianco a proposte come quelle di L.A. Lewis o L.E. White.

Servirebbe maggiore riscoperta di simili testi in Italia e sono certo che Providence Tales saprà proseguire in questo senso, come lasciano presagire le anticipazioni per il 2018 che riporto di seguito.

pp2017

In conclusione non posso che suggerire a tutti di acquistare e leggere questo libro, adattissimo a questo periodo dell’anno: accomodatevi sul divano, davanti a un bel camino acceso e immergetevi nelle atmosfere di Stoneground, ispirata alla reale Stanground di cui Swain fu realmente Vicario, come il suo fantastico personaggio.

stang 4

Foto della chiesa © Copyright Dave Hitchborne

 stoneg 2

Nasce Italian Sword&Sorcery Books
Share Button

Di seguito il comunicato stampa ufficiale:

Siamo felici di comunicarvi la nascita di Italian Sword&Sorcery Books, editore indipendente il cui obiettivo è diffondere la fantasia eroica in Italia.

Noi crediamo fortemente che lo sword and sorcery non sia morto e che meriti maggiore attenzione da parte dei lettori, atteso che una fetta preponderante di essi non conosce nemmeno le principali opere, i più importanti autori e gli elementi distintivi del predetto genere di speculative fiction.

La rivalutazione della spada e stregoneria non può avvenire solo attraverso alcune sporadiche pubblicazioni, poiché qualche libro non ha la forza di modificare i gusti del grande pubblico e nemmeno di andare a toccare la sensibilità dei palati più raffinati.

Riteniamo necessaria una forte presa di posizione e pertanto abbiamo costituito l’Associazione Culturale Italian Sword&Sorcery a cui hanno già aderito molteplici scrittori, critici, giornalisti, intellettuali, illustratori e comunque appassionati.

Pensiamo che sia di capitale importanza muoversi su due differenti fronti: quello della narrativa e quello della saggistica.

Per quanto concerne il primo, abbiamo scelto di adottare il formato del racconto breve (ormai scomparso dalle pubblicazioni odierne), atteso che vogliamo riportare in auge lo stile di azione, avventura, orrore e fantasia tipico delle riviste pulp degli anni ’30 del secolo scorso e ispirarci ai grandi autori che le hanno rese popolari in tutte il mondo come Robert E. Howard, Clark Ashton Smith, H.P. Lovecraft, C.L. Moore, Henry Kuttner, Fritz Leiber e John Jakes.

In ordine al secondo, occorre fornire al lettore saggi e articoli, ma anche occasioni per confrontarsi in eventi e conferenze che abbiano ad oggetto lo studio del genere, al fine di comprenderne l’entità e l’origine.

Per informazioni: francescolamanno@hotmail.it

Sito: https://hyperborea.live/

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/italianswordandsorcery/

Max Gobbo – Alasia – La Vergine di ferro – Recensione
Share Button

Dalla quarta di copertina: Alla vigilia del Concilio di Trento con cui la chiesa romana intendeva portare a compimento la controriforma allo scopo di arginare l’eresia dilagante, l’Italia conobbe un flagello così terribile da oscurare perfino l’orrore della Peste Nera. Partorita dal ventre dell’inferno un’orda di demoni s’abbatté sulla penisola. Schiere di mostri immondi chiamati “mai morti” presero a popolare le notti atterrendo la gente e nutrendosi del sangue degli innocenti. A nulla valsero gli editti e le contromisure presi da principi ed ecclesiastici, nessuno pareva in grado di contrastare l’avanzata irresistibile del male. Ma quando giunse l’ora più fosca, in cui l’umanità sembrava condannata alla dannazione eterna, qualcuno si levò in sua difesa. Avvenne così che antichi ordini cavallereschi, monaci combattenti e giustizieri solitari iniziarono una lotta mortale contro le forze dell’oscurità. Tra questi ultimi avventurieri si narra che vi fosse anche una donna, una spadaccina delle più valenti, una vergine dal sangue purissimo cui Dio stesso avrebbe affidato il compito di debellare l’oscura minaccia, il suo nome era Alasia.

Volume edito da Watson, nella collana TrueFantasy a cura di Iascy e Zarbo, che si propone di rilanciare potentemente il genere in italia, questa raccolta di racconti di Max Gobbo conferma la grande abilità di questo Autore, di cui avevo già recensito le Storie del Necronomicon.

Il volume raccoglie tutti i racconti finora scritti sul personaggio di Alasia, tra loro indipendenti, ma legati da un sottile fil rouge che rende il volume quasi un romanzo.

Alasia è un personaggio femminile, in un’Italia distopica di stampo rinascimentale: due elementi – una donna protagonista e l’Italia come scena – che sono rari incontrare già separati e che aumentano il pregio dell’opera, ancor più perché concomitanti. Eroina che ricorda quasi una versione femminile del Solomon Kane di Howard, il personaggio è una Vergine di Ferro, anche nota come Mano Sinistra di Dio, cioè una spadaccina formidabile, dai tratti quasi sovrumani, che ha fatto voto di purezza e castità per servire il Papa e Dio al fine di mantenere quella purezza e quel potere che solo gli permette di affrontare il male, in un viaggio attraverso un’Italia dalle atmosfere cupe e fantastiche, tra villaggi tenebrosi e castelli popolati da mostri.

Alasia è la sola, Vergine, come la Madonna, a poter impugnare una spada benedetta (Iustitia, che lei ribattezza Vindicta), nella cui elsa è incastonato uno dei chiodi della Croce di Cristo, rendendo l’arma letale per qualsiasi mostro ultraterreno, così come micidiali sono i dardi delle sue pistole, fusi con il bronzo delle Porte di San Pietro, capaci di uccidere i mostri invulnerabili. Dotata di queste armi quasi magiche, la donna combatte demoni e vampiri mostruosi, i mai-morti, ribellandosi al tentativo del Nero Signore, emissario del Demonio, di predisporre il terreno per l’avvento del Male, arrivando persino a scontrarsi con sette di eretici e inquisitori perversi, fino a un crescendo in cui è la più grande reliquia italica a essere posta in pericolo: la Santa Sindone.

A tratti affiancata da altri personaggi ben delineati e pittoreschi, Alasia dovrà persino rinunciare all’amore per perseguire un fine più grande: quello del Servizio di Dio, che coincide però con il suo desiderio di vendicarsi della morte dei propri genitori, uccisi proprio dal Nero Signore.

Lo stile di Gobbo sembra emergere da un’altra epoca, come se il libro fosse la riscoperta di un classico perduto che, per tema e atmosfere, ricorda proprio il grande Howard o – per restare in Italia – il nostro spesso dimenticato Emilio Salgari, da Gobbo già omaggiato anche nel romanzo “L’occhio di Krishna” (ed. Bietti): intense le scene di guerra, tetre le descrizioni dei luoghi della paura, maestose e quasi liriche le splendide pennellate di paesaggi e sfondi.

Un libro che mi permetto di consigliare, soprattutto agli amanti del genere, a metà tra heroic fantasy e weird/horror.

Attendiamo altre storie di questo personaggio, che probabilmente non ha ancora terminato le proprie avventure…