Studi Lovecraftiani n. 17 – Dagon Press
Questa estate dal clima impazzito è latrice di un nuovo numero della longeva e autorevole rivista dedicata al visionario di Providence, H.P.Lovecraft: chi volesse toccare altre vette di follia, oltre a quelle climatiche, potrebbe trovare pane per i propri denti nelle agghiaccianti manifestazioni di Shub-Niggurath (da ora in poi, nel testo, abbreviato come SN) divinità aliena della mitologia Lovecraftiana che in questo numero ha un ruolo centrale.
Il numero 17 della rivista Studi Lovecraftiani, edita da Dagon Press e a cura – come sempre – di Pietro Guarriello (massimo esperto italiano su Lovecraft) presenta infatti e in particolare un saggio di Valentina Sirangelo sulla natura lunare di Shub-Niggurath. Il saggio, che ha una profondità accademica degna veramente di un dottorato sulla materia, analizza in maniera certosina tutti i riferimenti presenti nell’opera di Lovecraft su questa divinità, confrontando il tema anche rispetto ad altri autori che hanno commentato l’opera del Maestro o l’hanno proseguita, come il caso del celebre Ramsey Campbell (di cui avevo già recensito “L’ultima rivelazione di Gla’aki“), oggi forse il più grande scrittore weird vivente (il solo, almeno, della tradizione che abbia personalmente conosciuto autori contemporanei di Lovecraft e che con il Maestro stesso si fossero personalmente confrontati).
Sirangelo, infatti, dopo una prima parte di articolo in cui analizza la natura di Shub-Niggurath, analizzandone anche la duplice natura sessuale, legata al Capro pagano e Pan e al confine tra paredro incestuoso ed entità ermafrodita, analizza approfonditamente proprio il racconto di Campbell “La Lente Lunare” (The Moon-Lens), tratto dalla mitica raccolta “The Inhabitant of the Lake and Less Welcome Tenants” uscita nel 1965 presso l’altrettanto mitica Arkham House: racconto altresì presente proprio – per la prima volta – in italiano in questo stesso numero degli Studi e tradotto dalla stessa Sirangelo (di cui anzi consiglierei vivamente la lettura prima del saggio che lo precede, proprio per evitare spoiler sulla trama). Sarebbe forse stata interessante, come ulteriore spunto, qualche riflessione su Nodens, che da Machen a Lovecraft cambia molto la propria rappresentazione, risultando più affine al dio capro celtico nell’autore gallese che in Lovecraft, dove il ruolo caprino è più legato all’entità SN.
Proprio SN appare, in una delle poche rappresentazioni descrittive della narrativa, anche nel racconto di Campbell, che rappresenta un classico del weird e un piccolo gioiello (rispetto a SN un interessante contributo, molto più moderno e dissacrante, è stato dato anche da Charles Stross nel suo Equinoide).
Le donne hanno un ruolo di punta in questo volume degli Studi, che contiene anche un interessante saggio di Miranda Gurzo che analizza l’opera di Lovecraft al confine con la profezia e l’Apocalissi biblica: mi ha particolarmente colpito il parallelismo tra la parabola biblica di Giobbe e uno dei più riusciti racconti di Lovecraft, The Colour out of Space. Se si esaminano entrambi i testi con occhio critico, secondo la Gurzo, risaltano notevoli parallelismi: come Giobbe, Nahum Gardner viene a poco a poco privato di tutto ciò che ha – il suo podere, le sue piante, i suoi animali e la sua famiglia. Come Giobbe tutti cominciano a evitarlo… Se Giobbe è una parabola sul problema del male, che nel racconto biblico viene individuato nella nostra incapacità di comprendere il fine degli eventi preordinati da un Dio onnisciente e artefice di tutto, in The Colour non c’è una risposta o una motivazione morale per gli eventi occorsi, ma solo il tremulo occhieggiare delle stelle in un universo gelido e indifferente. Universo che di fronte alle catastrofi o alla sfortuna personale noi percepiamo quindi come malvagio, non essendo noi consapevoli se non in minima parte della nostra infinita piccolezza in un cosmo privo di limiti. Questa è dunque la più chiara risposta lovecraftiana al problema del male; per mezzo della narrazione fantastica lo scrittore ha potuto costruire una parabola simbolica che riflettesse le sue personali idee filosofiche. Sul tema, peraltro, fu proprio uno dei primi critici di Lovecraft, John Taylor Gatto (autore del libro THE MAJOR WORKS OF H.P. LOVECRAFT, 1977) a definire Il Colore Venuto dallo Spazio come “the H.P. Lovecraft’s Book of Job”, cioè Il Libro di Giobbe di Lovecraft; quindi Miranda Gurzo ha fatto delle ottime osservazioni, tenuto anche conto che il Leviatano presente nel Libro di Giobbe può essere apparentato a Cthulhu. Quel che è certo, è che il libro di Giobbe fu un’ispirazione per Lovecraft, il quale cita anche un passo del Libro di Giobbe in The Case of Charles Dexter Ward. Una lettura interessante per capire come Lovecraft rielaborò le idee prese dalla Bibbia è il saggio “Reordering the Universe: H.P. Lovecraft’s Subversion of the Biblical Divine” di René J. Weise, in LOVECRAFTIAN PROCEEDINGS n. 2 (2017).
Per terminare, nel volume degli Studi Lovecraftiani n. 17 seguono saggi e articoli di Stefano Lazzarin, Renzo Giorgetti, Riccardo Rosati e altri. Si segnala, inoltre, in questo stesso numero, un racconto lungo di Cesare Buttaboni (“La Maschera di H.P. Lovecraft”) che evoca la figura di HPL e fa emergere Cthulhu nelle strade londinesi, in una storia che – oltre a condensare la vita di HPL – appare molto autobiografica per lo stesso Buttaboni, probabile alter-ego del protagonista del racconto (così come altri personaggi possono echeggiare persone note del fandom lovecraftiano italiano).
Leccornia finale del volume: un poema fantastico e poco conosciuto del Maestro, (inedito anche questo in Italia e tradotto qui per la prima volta) che rientra nel solco dei Miti di Cthulhu.
STUDI LOVECRAFTIANI 17
Estate 2019 – pp. 140, € 15
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