Victor LaValle – La ballata di Black Tom – Recensione
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Recentemente è uscita per Hypnos editore, da sempre in primo piano nel weird italiano, l’edizione italiana de La ballata di Black Tom, romanzo breve di Victor LaValle, vincitore del Shirley Jackson Award 2016 e FINALISTA ai più importanti premi narrativi di genere (Bram Stoker Award, Hugo Award, Nebula Award) e di cui pare in preparazione una versione televisiva prodotta da AMC.

La trama, dal sito dell’editore: New York, anni Venti. Charles Thomas Tester è un “intrattenitore” nella Harlem del jazz. Lui sa come lanciare un incantesimo anche senza magia e come attirare la gente. Ma quando dovrà consegnare un pericoloso libro a una maga solitaria nel cuore del Queens e s’imbatterà in un ricco occultista di nome Robert Suydam a Flatbush, sulle cui tracce è l’investigatore Thomas Malone, il giovane nero di Harlem aprirà la porta a un regno di profonda e imperscrutabile magia, attirando l’attenzione di creature che sarebbe meglio lasciare dormienti. L’umanità sarà davvero spazzata via? Il globo tornerà di nuovo ad appartenere a… Loro?

Il romanzo, di circa 98 pagine, rappresenta una variazione sul celebre racconto del 1927 di H.P. Lovecraft “Orrore a Red Hook”, di cui incrocia e intreccia la trama, recuperandone i protagonisti, in una sorta di spin-off, o prequel, che semplicemente ci mostra la storia da un’altra prospettiva e fornendo informazioni ulteriori.

Devo ammettere che 3/4 buoni del romanzo e soprattutto le prime 70 pagine circa sono tra le migliori letture weird che abbia fatto di recente: il testo convince, tocca vette di immaginario e orrore cosmico altissime e con una bravura narrativa davvero encomiabile.

Se dovessi muovere due critiche alla storia sarebbero solo le seguenti: verso la fine la storia scivola eccessivamente nel gore, con punte di azione e violenza che reputo personalmente eccessive, anche rispetto al tono e allo stile di Lovecraft e del testo originale.

Sempre verso la fine della storia, anche rileggendo l’originale racconto di Lovecraft, anzi soprattutto rileggendolo “assieme” alla lettura di LaValle, trovo alcuni dettagli un po’ stridenti con la storia originaria.

Forse LaValle avrebbe avuto tutti gli elementi per creare un racconto totalmente originale, con solo personaggi propri, autonomo rispetto a “Orrore a Red Hook”, che come tale sarebbe stato ancor più convincente.

In ogni caso consiglio caldamente la lettura di questa bellissima storia horror, che si può – anche più dell’originale Lovecraftiano da cui trae le sorti – ascrivere al ciclo dei Grandi Antichi… Non dico di più, ma la copertina italiana di Torello è già significativa ed evocativa!

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Per maggiori info rimando al sito dell’editore: http://www.edizionihypnos.com/home/68-la-ballata-di-black-tom.html

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Charles Stross – Equinoide – Recensione
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Quest’anno alla Italcon c’è stata la presentazione del libro Equinoide di Stross, premio Hugo 2014, sforzo congiunto di due editori tra i pilastri della narrativa fantastica italiana e cioè Elara e Delos Digital (a cui si deve l’edizione in ebook in particolare).

Stross è un autore britannico di fantascienza e horror, già edito in Italia (anche su Urania), con all’attivo la serie della “Lavanderia”, nome di un’agenzia segreta britannica che vigila su pericoli demoniaci o alieni e in particolare su orrori cosmici di matrice prettamente Lovecraftiana e in cui lavora il personaggio Bob Howard (forse omaggio al creatore di Conan il barbaro).

Equinoide è proprio una storia di questo ciclo, con il suddetto protagonista: un romanzo breve che però si può leggere serenamente anche senza aver letto altri episodi, proprio perché autonomo e slegato.

L’ambientazione è lovecraftiana: il solitario di Providence in persona è uno dei personaggi della storia, che scopriamo aver avuto un contatto – ancora giovanissimo – con un abominio antico.

La trama sviluppa una originalissima e anche affascinante interpretazione della reale natura di Shub-Niggurath, legando il suo mito alla figura degli unicorni, in una lettura molto meno fantastica e idilliaca di come normalmente queste creature sono descritte nel fantasy.

Il taglio della scrittura è molto moderno e pulp, a tratti comico o volgare, ma in definitiva è una storia con il suo fascino, anche se è necessario segnalare una componente erotica e pornografica molto forte, che sicuramente stride con lo stile di Lovecraft, ma su cui aumenta il tono ironico anche verso il celebre Maestro di Providence.

Del resto, Stross ha raccontato che l’idea per questa storia nasce da un incontro a una convention, dove un altro autore parlava con un editore dell’idea di sviluppare una antologia incentrata sul tema degli unicorni in chiave “Hentai” (un tipico genere pornografico giapponese caratterizzato anche da contaminazioni con parafilia): questa antologia non fu mai realizzata, ma Stross aveva un’idea pronta per una storia è quella idea è all’origine di questo breve romanzo…

Se l’accenno ha incuriosito voi come ha colpito me, provate a leggere questo testo, che però potrebbe deludere o meglio “scandalizzare” i lettori troppo puristi (e puritani).

Da evidenziare la splendida copertina, con illustrazione di Franco Brambilla.

https://www.amazon.it/Equinoide-Lavanderia-Robotica-Charles-Stross-ebook/dp/B071VWRJ6C

 

RING novello DRACULA?
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N.B. L’articolo contiene spoiler sulle trame dei romanzi di Ring e Dracula.

In anni abbastanza recenti, un vasto successo nel campo del horror è stato raggiunto dal ciclo di Ring: un fenomeno di massa nato in Giappone, inizialmente come romanzo e successivamente come fortunata serie di pellicole cinematografiche, composta di ben tre episodi, a cui sono seguiti due remake hollywoodiani – il primo del celebre Gore Verbinsky – e di cui, anzi, esce proprio oggi, nelle sale cinematografiche italiane, un terzo capitolo (con regista F. Javier Gutiérrez).

Le pellicole cinematografiche, come spesso accade, ancor più dei romanzi, hanno sancito la fortuna della storia e del suo autore a livello mondiale. Sono, infatti, ulteriormente seguite edizioni in tutto il mondo del romanzo, fino alla punta di un milione di copie vendute: in Italia il primo libro della serie, pubblicato dalla Editrice Nord (Milano, 2003) ha esaurito in un solo mese la sua prima tiratura, richiedendo una ristampa immediata.

È presto per sapere se l’incredibile successo di Ring sia soltanto un “fuoco di paglia”, un entusiasmo momentaneo destinato a essere dimenticato al più presto, oppure se resterà perpetuamente nell’immaginario horror, diventando addirittura un “classico”. Infatti, nell’arco di pochi anni l’entusiasmo iniziale per la serie si è assopito, salvo risvegliarsi anche in tempi recenti con, appunto, il progetto di un nuovo film; ciò nonostante, la serie in esame, insieme alla simile pellicola Grudge, ha sicuramente nutrito un interesse per il cinema horror nipponico che pare persistere negli anni e che una volta era sconosciuto, mentre alcune scene di the ring persistono ad apparire come “citazioni” in moltissime parodie e opere derivate, restando indelebilmente impresse nell’immaginario collettivo, almeno di genere.

Tutti gli elementi sin qui elencati potrebbero far propendere per una risposta affermativa alla domanda posta poco sopra e il fatto stesso che la storia di Ring sottenda una sottile critica – nemmeno troppo velata – al mondo della comunicazione di massa, al modello di “controllo sociale” che gli strumenti dell’informazione hanno sull’opinione pubblica, potrebbe segnare un punto di forza di tale opera dell’ingegno. I mass media hanno contribuito a diffonderne il messaggio alle masse che, per suo tramite, sono state allarmate nei confronti di quello stesso strumento da cui avevano ricevuto il primo impulso, il tutto in un circolo vizioso di “attivazione” delle coscienze che è difficile bloccare.

Il nucleo della storia ci spinge a riflettere e a ripeterci: “Stuzzicato dai mass media ho letto un libro che mi mette in guardia dal potere di controllo sulle coscienze che i mass media stessi hanno; il modo in cui tale problema mi si è rilevato è una dimostrazione della realtà e dell’efficacia di tale fenomeno.” Questo potrebbe pensare un qualsiasi lettore di Ring: il risultato finale è a tutto vantaggio del romanzo – e della sua storia – che non sarà facilmente dimenticato.

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Ebbene una simile fortuna, nonché una fama tanto potente, porta a ripensare a quello che è il più grande capolavoro della letteratura gotica di tutti i tempi: Dracula di Bram Stoker.

Quest’ultima opera – all’occhio di un osservatore attento ed esperto della materia – presenta più di un punto di contatto con Ring di Koji Suzuki. Vale dunque la pena esaminare questi aspetti peculiari delle due opere, con una fondamentale premessa: si sconsiglia la lettura a chi già non conosca le due opere – la loro trama – e volesse leggerle in un futuro prossimo, perché la suspense e la integrità della narrazione ne rimarrebbero irreversibilmente lese da una serie di spoiler inevitabili.

In primo luogo si può esaminare la somiglianza tra le strutture narrative dei due romanzi: Dracula inizia con il giovane Jonathan Harker in viaggio su una carrozza; presto egli si trova catapultato – suo malgrado – in una storia tragica, ricca di morte e terrore sovrannaturale, nella quale svolgerà un ruolo non marginale. Egli è il solo a scoprire l’esistenza di un male pestilenziale capace di diffondersi su tutta la terra, personificato nella figura del conte Dracula. I personaggi di Dracula nulla potrebbero ottenere senza un lavoro di squadra, un continuo spostarsi fra luoghi e situazioni alla ricerca di ulteriori “tasselli” del misterioso “mosaico” che cercano di rivelare al mondo. Soprattutto tali personaggi sarebbero impotenti senza l’aiuto di un personaggio qualificato: un soggetto dotato di quella genialità e di quelle doti umane e intuitive necessarie per affrontare un essere demoniaco e mostruoso come il vampiro Dracula; tale è la figura di Abraham Van Helsing, medico esperto di occulto e caparbiamente ostinato a combattere il male nella sua forma incarnata.

Dettagli ulteriori di non poco momento sono l’inserimento nella trama di un fondamentale personaggio femminile e riluttante – la moglie di Harker, Nina – e la morte di uno dei personaggi della “task force” anti-vampiro, poco prima della conclusione del romanzo.

Inoltre, si può sottolineare il paragone esistente tra la fobia per il vampirismo e quella per le malattie, i virus e le pestilenze, difficili da individuare e da fermare e capaci di diffondersi a macchia d’olio ovunque (il modello dell’epoca – XIX secolo – è chiaramente la sifilide).

Vediamo ora la struttura di Ring: l’opera inizia quasi subito – non le primissime pagine, ma poco dopo – con il protagonista, Asakawa, che si trova su un taxi – la carrozza moderna potremmo dire – e che viene – come Harker – catapultato in una serie di morti e orrori sovrannaturali, quale unico conoscitore dell’esistenza di un male – anche qui – “pestilenziale” capace di diffondersi ovunque e sterminare le persone.

La metafora del virus in Ring è esplicita fin dai primi capitoli e perdura fino alla conclusione del romanzo e non solo: nel seguito della storia – il romanzo Spiral, conosciuto in Italia sempre grazie alla Editrice Nord (Milano, 2004) – si viene a sapere, senza alcun margine di dubbio, che il “male”, protagonista negativo della storia – la causa di tutte quelle morti – è proprio un virus, simile ad una mutazione del vaiolo.

Continuando coi parallelismi rispetto a Dracula, ritroviamo in Ring il lavoro di squadra di tutta una serie di personaggi, in continuo spostamento, alla ricerca di sempre maggiori informazioni che permettano di debellare il male; ed anche in Ring è necessaria la comparsa di un personaggio “qualificato”, caratterizzato da particolare caparbietà e intuito: l’amico di Asakawa, Riuji Takayama. La sua tenacia è immediatamente messa in risalto: l’uomo non teme minimamente di vedere la videocassetta “stregata o maledetta” – il veicolo di diffusione del virus ring – che porta alla morte dopo sette giorni esatti dall’istante in cui la si è guardata, bensì è entusiasta all’idea di esserne spettatore e di affrontare la lotta contro il male.

Riuji Takayama è, inoltre, un professore di Filosofia (di Logica, per la precisione) laureato anche in Medicina: insomma un medico/filosofo particolarmente intelligente, astuto ed intuitivo, proprio come Van Helsing.

Tali caratteristiche saranno altrettanto evidenti nel protagonista di Spiral, Mitsuo: egli, infatti, è un medico legale[1] che, nel corso dell’autopsia di Riuji, viene a sua volta attratto nella “lotta al male”. In Ring, poi, come in Dracula, alcune vittime innocenti sono colpite dal male – richiedendo una maggiore urgenza d’intervento al protagonista, che non deve più soltanto salvare sé stesso – e, in parallelismo evidente con Dracula, si tratta proprio della moglie e della figlia di Asakawa (Harker della situazione).

Infine, poco prima della conclusione del romanzo, anche in Ring come in Dracula, muore uno dei personaggi: si tratta di Riuji Takayama (che però si scoprirà tornare in vita nel seguito del romanzo).

All’origine del male c’è sempre un personaggio sovrannaturale che agisce dal “regno dei morti”: il vampiro è un nosferatu, un non morto; all’origine del virus ring c’è il rancore di una donna morta[2] di nome Sadako Yamamura, dotata di peculiari facoltà di preveggenza e poteri E.S.P. di vario genere.

In definitiva, si potrebbe dire che il segreto del successo di Dracula e di Ring sia la struttura comune della storia; anzi, essa potrebbe essere il segreto per scrivere romanzi horror immortali come i mostri che li popolano…

Si prenda un personaggio, trasportato da un qualche vetturino, lo si catapulti in un mondo minacciato da un male sovrannaturale di natura morbosa/patologica e lo si faccia interagire con una task force di personaggi accomunati dall’intento di debellare questo “nemico”; si inserisca un personaggio particolarmente sicuro di sé e intelligente (richiesta almeno una laurea, possibilmente in medicina); si facciano spostare i personaggi in ambienti e scenari vari alla ricerca di dettagli o informazioni utili a sconfiggere il loro avversario; si crei la minaccia per la moglie del protagonista e si faccia morire uno dei personaggi principali poco prima della conclusione; ricordarsi di far aleggiare un’ombra di panico e terrore sul destino dell’intera umanità e “lasciar cuocere il tutto a fuoco lento”. Ecco la ricetta del romanzo horror perfetto.

Eppure, al di là delle banalità e della facile ironia, ci si potrebbe chiedere quanto Suzuki e il mondo siano coscienti del paragone evidenziato in queste pagine.

Più in generale viene da domandarsi quale sia il fascino magnetico che l’orrore da sempre esercita su di noi, attraverso le arti più varie: H.P. Lovecraft sosteneva che la paura sia il sentimento più antico e forte dell’animo umano e la paura più grande sia quella dell’ignoto[3]; certamente il solitario di Providence ha praticato con successo questa posizione, dal momento che gran parte dei suoi orrori sono privi di descrizioni precise e richiamano atavici timori sulla possibile esistenza di esseri (divinità/gods) superiori all’uomo e sconosciuti ai più.

C’è chi (si veda “La stirpe di Dracula” di Massimo Introvigne, Mondadori, 1996) sottolinea come le opere dell’orrore, creandoci paura e terrore, generino adrenalina e in generale vadano a sostituire l’assenza di quelle esperienze di caccia o sopravvivenza estrema che un tempo caratterizzavano la nostra esistenza (in quanto animali) e che il nostro evolverci (come esseri umani, ma anche come società e tecnologia) ha lentamente eclissato: nei momenti in cui ci dilettiamo spaventandoci con l’orrore, sono ripristinate importantissime funzioni basilari del nostro organismo, altrimenti non sublimabili in altre forme[4].

Personalmente ritengo che nella quotidianità si incontrino persone false e grette, materiali e maliziose; si vivano situazioni scomode (liti; omicidi; violenze; soprusi di ogni genere; etc.) e si vedano orrori terrificanti (bambini del Terzo Mondo malati e denutriti; guerre; atti di terrorismo; etc.) completamente dovuti e causati dall’uomo e che continuano a perpetuarsi esclusivamente a causa sua.

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L’idea di un male esterno o alieno, personificabile in qualcosa di non-umano e possibilmente che può essere distrutto/ucciso dall’intervento eroico di un umano, è sicuramente un pensiero più consolante e catartico del doversi confrontare con una realtà che appare invece pullulare di devianze e orrori che alcuna logica spiegazione sembrano avere all’infuori della matrice umana. Un simile elemento di auto-riflessione e di catarsi è insito nelle emozioni che l’horror e la paura ci trasmettono ed è il suo reale potenziale, nonché il suo magnifico ruolo.

Certamente una funzione così essenziale della letteratura horror è l’altro grande elemento di successo che è racchiuso in un qualsiasi romanzo del genere: per quanto riguarda Dracula e Ring non si creano dubbi in proposito. Oltretutto, tanto in Ring, quanto nel seguito, Spiral, è proposta tutta una serie di riflessioni sulla società, l’uomo e il suo destino escatologico di rilevante suggestione.

Ritornando invece agli aspetti complementari delle due storie, vorrei sottolineare ulteriormente l’importanza dei due protagonisti reciproci e principali: Harker e Asakawa. Entrambi rivestono un ruolo di spicco nell’ordito del rispettivo romanzo; la prima parte delle due opere è dedicata esclusivamente a loro.

Inoltre, sul complesso del racconto, entrambi compaiono per un periodo quantitativamente o qualitativamente maggiore, ottenendo un posto d’onore non concesso ad altri personaggi (nonostante in Ring il distacco fra le figure di Asakawa e Riuji sia meno marcato, in quanto co-protagonisti a tutti gli effetti). Entrambi, inoltre, ricompaiono nel seguito del romanzo, dove si scopre che Riuji si è alleato con Sadako Yamamura; al secondo, quindi, sembra quasi essere riservata una maggiore centralità nell’ordito complessivo della trama, come articolata su i due romanzi: Ring e Spiral. Tuttavia, Riuji è una figura negativa, di cui frequentemente sono messi in luce aspetti nefandi – come l’essere egli probabile autore di alcuni stupri – che in generale fanno essere qualitativamente preminente la figura di Asakawa, vero eroe tragico della serie.

Entrambi i romanzi, inoltre, si concludono con un lieto fine: in Dracula gli eroi hanno sconfitto il male e i coniugi Harker hanno avuto un figlio cui è attribuito il nome “Arthur”, lo stesso del personaggio morto combattendo contro Dracula, che va quasi a sostituirsi al defunto, volendo ricreare idealmente il gruppo al completo, come era all’inizio del romanzo, quasi che nessuno fosse realmente morto e il male non avesse avuto il minimo vantaggio.

In Ring la conclusione è impregnata di una “minaccia apocalittica” incombente sull’umanità, ma lascia presagire che il protagonista riuscirà a salvare la moglie e il figlio, avendo compreso “l’esorcismo” necessario a debellare la maledizione letale della videocassetta, creando quindi una sensazione di soddisfazione nel lettore, una convinzione di vittoria del bene sul male. Tale speranza è, però, smentita nel secondo romanzo della serie, in cui si appura che i due innocenti familiari del protagonista sono morti.

In generale Spiral segna un contrasto col modello classico: c’è una vittoria del male; persino Asakawa muore, mentre Riuji e Sadako si profilano come annientatori dell’umanità e futuri signori della terra – nonostante una piccola parentesi di speranza lasciata aperta per il lettore più sognatore e idealista. Tuttavia, questo è un altro problema, che non va a toccare le similitudini esistenti tra Ring e Dracula, essendo Spiral, di fatto, un romanzo autonomo, tra l’altro di minor successo rispetto al predecessore, quasi a dimostrare la validità della struttura degli altri romanzi come formula segreta del successo, che, se abbandonata, porta alla disfatta.

Ad ulteriore conferma di quest’ultimo assunto, mi preme evidenziare come successivamente l’autore nipponico sia stato quasi costretto a scrivere un terzo capitolo della sua fortunata serie: Loop (Ed. Nord, Milano, 2004), il quale riapre interamente la trama della trilogia, ripristinando un ottimismo e una positività di fondo che si era abbondantemente smarrita nel secondo capitolo della saga. Un terzo libro che, peraltro, è opinione dello scrivente, potrebbe sempre prestarsi a un ulteriore seguito…

Personalmente ritengo Dracula il massimo capolavoro letterario, non solo in ambito gotico; ho comunque trovato molto affascinante ed emozionante Ring, dovendo ammettere che Spiral è in buona parte ancor più suggestivo e accattivante del suo predecessore, ma rovinandosi nel finale che ne segna un tracollo e in definitiva lo lascia perennemente secondo (non solo cronologicamente, ma anche come “classifica”), se non addirittura terzo, dopo la pubblicazione di Loop. Quest’ultimo, tuttavia, è un romanzo di genere e ambientazione completamente diversa dai primi due: è pressoché assente l’atmosfera horror e, anzi, il romanzo si può pacificamente definire di fantascienza – e di alto livello!

Interessante è, inoltre, una comparazione tra lo stile dei due autori (Stoker e Suzuki). Dracula è indiscutibilmente un romanzo epistolare, per quanto parzialmente sui generis: nel testo si susseguono pagine di diario, lettere, articoli di quotidiani, dattiloscritti, etc. La trama si snoda, quindi, attraverso la percezione soggettiva e diretta dei protagonisti delle vicende (nonostante non sia, appunto, una prospettiva unitaria di un singolo individuo) e la cadenza delle vicende è puntualmente fissata nello spazio e nel tempo in base all’intestazione dei contributi dati dai personaggi: data, luogo, provenienza.

Ring non è, al contrario, un romanzo epistolare: ciò nonostante è scritto con l’indicazione precisa delle date e dei luoghi (persino delle ore); inoltre, sono spesso inserite le riflessioni dei personaggi in prima persona (in corsivo, nel testo stesso del racconto, riecheggiando lo stile di Stephen King), cosicché è trasmessa tutta una serie di emozioni, sensazioni e percezioni soggettive che caratterizza anche lo stile di Stoker in Dracula e rende più coinvolgente la lettura e l’immedesimazione nelle vicende.

Per concludere, non voglio affermare che le due opere siano identiche, né che Suzuki abbia imitato Stoker; sono certo che anche il lontano confronto tra le due opere potrebbe far trasalire i fanatici di una qualunque delle medesime (più probabilmente gli “elisabettiani” amanti di Dracula, mentre i fans di Ring potrebbero essere lusingati dal paragone).

Eppure sono convinto di aver notato similitudini sfuggite ai più e di aver sollevato una tematica suggestiva e intrigante: se ho fortuna potrei aver colto il segreto del successo immortale di un’opera, almeno dell’orrore, individuando la ricetta del “perfetto” romanzo horror, come un sommelier che ne intuisca gli ingredienti gustandone i sapori.

Sapori d’alta cucina, nel caso di Stoker, ricca di tradizione, ma che cede sempre il desiderio all’assaggio di nuovi intriganti proposte, come quelle dal gusto orientale di Suzuki.

[1] Pare che sempre più spesso nella letteratura moderna si stia comprendendo la funzionalità di un personaggio che sia medico legale: egli è uno dei primi soggetti che viene attratto nell’orbita di un crimine (una figura qualificata, che redige un referto e che partecipa ad indagini e processi); è in genere una figura “colta” e anche rispetto a realtà occulte e paranormali può rivestire ruoli importantissimi. Si pensi a Van Helsing o al dottor Victor Frankenstein (del romanzo Frankenstein di Shelly) come esempi di medici “puri”; alla nota Kay Scarpetta (di Patricia Cornwell) o alla televisiva Dana Scully di X-files – come, specificatamente, medici legali.

[2] È da evidenziarsi come anche la stessa Sadako Yamamura torni in vita nel seguito del romanzo, Spiral, quale primo esemplare di una razza mutante ermafrodita capace di auto-riprodursi e bramante la conquista del mondo intero, in sostituzione del genere umano.

[3] H.P.Lovecraft, Supernatural Horror in Literature, 1927; in it. “L’orrore soprannaturale nella letteratura”, Ed. Sugarco, 1994.

[4] Si può ribaltare la critica comunemente mossa ad un certo tipo di “violenza” – preferirei parlare di “aggressività” – generalmente mostrata da mezzi di comunicazione/intrattenimento (cinema, televisione, fumetti etc.): molto spesso un certo tipo di “aggressività” permette di liberarsi di tensioni e pulsioni innate e fortemente radicate in noi; la si potrebbe definire una “sana aggressività”, dotata di effetti taumaturgici e catartici. È molto meglio vedere un assassino in un film, e liberare le pulsioni durante la visione di una pellicola, piuttosto che essere realmente degli assassini e raggiungere punti di collasso emotivo che portino a delinquere davvero. Troppo spesso si sente di omicidi commessi in stato emotivo o passionale (condizione che, giova ricordare, non rileva penalmente come attenuante o esimente) e viene da domandarsi se davvero gli autori di quei delitti siano stati istigati dalla televisione o piuttosto avrebbero potuto liberarsi di alcune cariche negative guardandola (e sarebbe stato meglio, dunque, l’avessero fatto).

Per tutte le immagini/For all the images: COPYRIGHT OF THE OWNER (degli aventi diritto).

Fine 2016 e inizio 2017 col botto, per il sottoscritto!
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Il 2016 è stato un anno di cui non posso assolutamente lamentarmi dal punto di vista dello “scrittore”.

Ho vinto il premio, nella sezione “ROMANZO FANTASY”, della Prima Edizione del Premio Nazionale di Letteratura “Le figure della parola” con il mio romanzo “Il Dio del dolore”, che continua a regalarmi soddisfazioni dopo circa 2 anni dalla pubblicazione.

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Sono stato presente, con un contributo in forma di racconto o articolo, su ben tre antologie e due riviste inedite: Continuum Hopper, Antares n. 11, Gli universi di Ailus Heroic Fantasy Vol. 1, Studi Lovecraftiani n. 14 e Narragenda 2017

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Sono stato intervistato sul n. 76 della rivista Inchiostro e un estratto del mio saggio su H.P. Lovecraft è stato pubblicato in appendice al 2° volume del fumetto “Sherlock Holmes & il Necronomicon” Ed. Now Comics

A fine anno, con uscita nel 2017, che si apre già benissimo, ecco arrivare la prima traduzione e pubblicazione di un mio racconto fuori dall’Italia: in particolare, il mio racconto “La pietra” sarà presente, col titolo “La pierre”, sul n. 7 della prestigiosa rivista Gandahar, a cura di Jeanne-Pierre Fontana.

gandahar

E con gennaio 2017 ecco uscire una nuova antologia, sempre di Italian Sword & Sorcery e a cura di Alessandro Iascy e Francesco La Manno, per Watson Edizioni: il volume “Eroica“, primo della nuova collana TrueFantasy, che penso ne farà vedere delle belle nel 2017.

Eroica

Insomma, sarà difficile superarsi nel 2017, ma ci proverò… State sintonizzati, perché penso che almeno qualche altra cartuccia da sparare la avrò quest’anno!

Opere in altre lingue
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SVEZIA

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Saggio “Koji Suzukis Ring: en oväntad ättling till Dracula”in Kontrast Magasin n° 2Svezia, Ottobre 2020, pagg., € 6,78 (SEK 69), genere saggio in ambito weird/horror.

Sito all’editore Svedese Aleph Bok: https://alephbok.files.wordpress.com/2020/10/lasprov_kontrast_nr_2_2020.pdf

Il mio saggio Ring novello Dracula, è stato tradotto e pubblicato in Svezia, in uan versione riveduta e aggiornata, col titolo “KOJI SUZUKIS RING: EN OVÄNTAD ÄTTLING TILL DRACULA” (Ring di Koji Suzuki: un inaspettato discendente di Dracula) sul n.2/2020 della splendida rivista Kontrast Magasin, edita da Aleph Bok e a cura di Rickard Berghorn.

Era già apparso in Italia col titolo “Ring novello Dracula”, in Skan Magazine n. 31-32 (Anno 3, n. doppio), Marzo-Aprile 2015, pagg. 11-15. Articolo/Saggio letterario[Rivista digitale scaricabile gratuitamente dal sito: http://sourceforge.net/projects/skanmagazine/files/skan_31-32.pdf/download ]

Una versione sempre datata è facilmente consultabile su questo stesso sito: Ring novello Dracula?

FRANCIA

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Racconto La pierre, in L’Enfer sur terre: Gandahar n° 7Francia, Dicembre 2016, pagg., € 7,00, genere weird/horror.

Sito all’editore francese di Gandahar La reveue: https://www.gandahar.net/2016/10/21/l-enfer-sur-terre-gandahar-n-7/

Il racconto “La pietra”, dalle atmosfere Lovecraftiane, è stato tradotto e pubblicato in Francia, sulla prestigiosa rivista Gandahar, a cura di Jeanne-Pierre Fontana.

Il racconto era già apparso in Italia col titolo “La pietra”, in Skan Magazine n. 33-34-35 (Anno 3, n. triplo), Maggio-Giugno-Luglio 2015, pagg. 06-12, genere weird/horror: Rivista digitale scaricabile gratuitamente dal sito: http://sourceforge.net/projects/skanmagazine/files/skan_33-34-35.pdf/download

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Francia – Racconto “La pierre”, in L’Enfer sur terre: Gandahar n° 7
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FRANCIA

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Racconto La pierre, in L’Enfer sur terre: Gandahar n° 7Francia, Dicembre 2016, pagg., € 7,00, genere weird/horror.

Sito all’editore francese di Gandahar La reveue: https://www.gandahar.net/2016/10/21/l-enfer-sur-terre-gandahar-n-7/

Il racconto “La pietra”, dalle atmosfere Lovecraftiane, è stato tradotto e pubblicato in Francia, sulla prestigiosa rivista Gandahar, a cura di Jean-Pierre Fontana.

Era già apparso in Italia col titolo “La pietra”, in Skan Magazine n. 33-34-35 (Anno 3, n. triplo), Maggio-Giugno-Luglio 2015, pagg. 06-12, genere weird/horror: Rivista digitale scaricabile gratuitamente dal sito: http://sourceforge.net/projects/skanmagazine/files/skan_33-34-35.pdf/download

Come “La pietra grigia“, è stato recentemente ristampato in Italia (anche in formato cartaceo) nell’antologia I racconti di Dagon, AA.VV. (a cura di Pietro Guarriello), Ed. Dagon Press, Pineto (TE), 11-19 settembre 2018, pagg. 173-186 (v. supra).

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Ramsey Campbell – L’ultima rivelazione di Gla’aki – Recensione
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L’ultima rivelazione di Gla’aki è un ottimo romanzo weird/horror che non può mancare nella biblioteca degli amanti del genere e degli appassionati dei c.d. Miti di Cthulhu di ispirazione e genesi Lovecraftiana.

Il romanzo segue la ricerca dei volumi che compongono “L’ultima rivelazione di Gla’aki”, pseudobiblium immaginario (simile ai noti Necronomicon o De vermis mysteriis a cui si ispira)  da parte di un bibliotecario. Il protagonista è una persona comune, ben caratterizzata, in cui l’immedesimazione da parte del lettore è totale e coinvolgente. Ci troviamo a vivere nei suoi panni allucinanti giorni, quasi ipnotici e onirici, in un paesino marittimo che richiama profondamente la Innsmouth di Lovecraft, sia nella descrizione, che nel clima e nella “fauna”.

Il romanzo è ricco di dettagli che lasciano presagire l’orrore che si cela dietro la realtà, che il lettore bene coglie, come piccoli sassolini lasciati a indicare la strada, beffardamente incompresi (o incomprensibili) al protagonista, per cui il senso di raccapriccio e alienazione trasmesso al lettore ne risulta amplificato. Tutto conduce al climax finale, dove l’orrore cosmico, di stampo lovecraftiano, si rivela in maniera netta e chiara, presentando un ennesimo Grande Antico, Gla’aki, che va a rimpinguarne l’elenco accanto a Cthulhu & Co.

Forse – unica critica – troppo frettoloso e tenero il finale, in cui ci troviamo lontani dal senso di follia e terrore a cui altri autori ci hanno abituato in simili contesti narrativi: Campbell è quasi dolce e paterno nel suo rapportarci a Gla’aki, lasciandoci quasi desiderare di incappare proprio in lui, se dovessimo scegliere fra i Grandi Antichi, piuttosto che in altri e più terribili suoi pari…

Il volume è corredato da due preziose appendici saggistiche a cura degli impeccabili Danilo Arrigoni e Walter Catalano, che ci introducono Campbell, la sua narrativa, la sua storia e la sua produzione (di cui troviamo anche una preziosa bibliografia italiana completa).

Libro consigliatissimo!

Dal sito di Edizioni Hypnos:

L’ultima rivelazione di Gla’aki

di Ramsey Campbell
(The Last Revelation of Gla’aki, 2013)

“La rarità vittoriana più famosa potrà pure essere un francobollo – il Penny Black –, ma è decisamente comune rispetto al libro più raro dell’epoca. È probabile che in tutto il mondo non sia rimasta neppure una copia de Le Rivelazioni di Gla’aki. […] Da allora nessuna copia è venuta alla luce, e la copia in possesso della Brichester University si trovò tra i volumi distrutti da uno studente alla fine del secolo scorso. Il libro più malefico, o una perdita per la letteratura sull’occultismo? Come il contenuto della biblioteca di Alessandria, Le Rivelazioni di Gla’aki potrebbe essere ormai leggenda.”

Glaaki : Grande Antico abitante in un lago nella valle di Severn nei pressi di Brichester, in Inghilterra. Ha l’aspetto di una gigantesca lumaca ricoperta di aculei metallici che, nonostante il loro aspetto, sono in realtà crescite organiche. Glaaki può anche estrudere tentacoli con gli occhi situati sulle punte, che gli permettono di guardare da sotto l’acqua. Si ritiene che sia venuto sulla Terra imprigionato all’interno di una meteora. Quando il meteorite si è schiantato al suolo, Glaaki è stato liberato, e l’impatto ha creato il lago dove ora risiede.

Nato a Liverpool nel 1946, Ramsey Campbell è il più importante autore horror inglese contemporaneo. Esordisce nei primi anni ’60 con racconti di stampo lovecraftiano, pubblicando nel 1964 con la Arkham House la sua prima raccolta The Inhabitant of the Lake and Less Welcome Tenants. Del 1976 è il romanzo La bambola che divorò sua madre, che lo consacrò nel mondo dell’horror. Ha all’attivo oltre trenta romanzi tra cui i più famosi La faccia che deve morire (1979), La setta (1981, da cui nel 1999 è stato tratto il film Nameless. Entità nascosta, diretto da Jaume Balaguero), Sogni neri (1983), Luna affamata (1986), e Antiche immagini (1989). L’ultima rivelazione di Gla’aki (2013) segna il suo ritorno alla mitologia lovecraftiana.

Campbell è l’autore inglese di genere che ha vinto il maggior numero di riconoscimenti: cinque World Fantasy, tredici British Fantasy, tre Bram Stoker, quattro International Horror Guild.

Laird Barron – La cerimonia – Recensione
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La cerimonia di Laird Barron, purtroppo, non mi ha entusiasmato, nonostante la profonda stima per le Edizioni Hypnos che stanno davvero meritevolmente riscoprendo il weird in Italia con un catalogo di spessore encomiabile.
La storia si sviluppa su più archi narrativi, con locations e momenti temporali differenti, che rendono un po’ spezzato il filo della trama.
Di fondo è una classica storia weird, in cui antiche presenze, culti innominabili ed esseri “alieni” di stampo Lovecraftiano, dominano il retroscena della vita dell’uomo che, sostanzialmente, può trascorrere serenamente la propria esistenza soltanto all’oscuro della reale trama che si tesse fuori dalla sua comprensione, salvo impazzire o sprofondare nell’orrore laddove riveli la verità nascosta e celata. Idea comune a questo tipo di narrativa, insomma…
Quello che però non mi ha soddisfatto è lo sviluppo dell’idea. Il romanzo in buona parte lo ho trovato noioso, incentrato su eventi privi di spessore e interesse e con una prosa non troppo coinvolgente.
Il protagonista soprattutto è il reale problema della trama, perché non permette un vero inserimento nella trama con l’immedesimazione: abbiamo una persona anziana, in cui difficilmente un lettore di media età o giovane riesce a calarsi, che però rende ancor più impossibile tale immedesimazione laddove si scopre essere un personaggio che finisce in avventure rocambolesche, con strani bravacci Messicani o Men-In-Black usciti dal peggiore episodio di X-Files. Manca cioè quella totale “normalità” e “quotidianità” della trama in cui l’orrore sovrannaturale irrompa come solo e vero elemento conturbante che è il meccanismo di sospensione dell’incredulità veramente portante in questo tipo di narrativa.
Trama – Dalla copertina:
Ci sono strane cose che sopravvivono ai margini della nostra stessa esistenza, che ci seguono al limite della nostra percezione, ci osservano dal buio che incombe oltre il calare della notte, solo un passo al di là del confortante calore delle luci. Neri portenti, strani culti, e cose anche peggiori attendono nell’ombra. I Figli dell’Antica Sanguisuga sono fra noi da tempo immemorabile, dall’alba dell’umanità ci accompagnano…
 
Donald Miller, geologo e accademico oggi ormai ottuagenario, da una vita cammina sul ciglio d’un abisso, tra i vuoti di memoria che gli oscurano la mente e certi improvvisi lampi d’inquietanti ricordi, che a tratti lo risvegliano a una realtà sinistra celata appena sotto il tenue velo d’amnesia, la sottile cortina della quotidianità. Sparsi frammenti, ora destinati a convergere verso una rivelazione sconvolgente, ciò che l’Oscurità, l’abisso oltre le stelle, ha infine per noi in serbo.
Storie del Necronomicon – Max Gobbo – Recensione
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Voglio consigliare a tutti la lettura del libro di Max Gobbo, Storie del Necronomicon (ed. Tabula fati), che già dalla splendida copertina di Vincenzo Bosica (che si conferma uno dei migliori grafici contemporanei!) si presenta più che invitante.

Il volume è sostanzialmente strutturato come un’antologia di racconti – sulla scia dei maestri pulp che hanno dato vita al genere sulle riviste americane degli anni ’20 e ’30 – facilmente godibili se letti singolarmente, ma in realtà spesso legati da un sottile fil rouge che li lega fra loro.

Il libro è soprattutto un pastiche lovecraftiano, come evidente già dal titolo che richiama subito il famoso pseudobiblium inventato da Lovecraft, ma in molti tratti è parimenti debitore al grande maestro del heroic fantasy Robert E. Howard, sapientemente fuso con l’universo dell’altro grande autore citato. Così, accanto a storie in pieno stile lovecraftiano, troviamo racconti che presentano ambientazioni più fantastiche e addirittura personaggi, come il guerriero Kmer, che sembrano proprio usciti dalla penna di Howard, mentre lo stesso scirttore texano diventa personaggio di alcuni intrecci, in cui realtà e finzione si mescolano sapientemente.

Il libro gioca infatti anche con il mistero e con la realtà, confondendo le carte e portando a domandarsi se le grandi scoperte e inchieste giornalistiche di Jack Shepard esistano davvero (come ce lo si domanda del personaggio), così come da sempre tanti si chiedono se il Necronimicon esista… Forse il testo maledetto è stato anche in possesso di Lovecraft e Howard, come sembra rivelarci questo libro?

Insomma, il volume non può che piacere agli amanti del Solitario di Providence e del mondo che è sorto dalla sua narrativa.

Una nota sullo stile dell’Autore, che richiama esattamente il modello degli autori succitati di pulp, sembrando per certi versi magicamente uscito proprio dalle riviste dell’epoca, come se i racconti fossero degli inediti dei grandi maestri, miracolosamente risorti, piuttosto che l’opera di un nuovo e talentuoso autore. Il testo è scorrevole e si legge con piacere e facile comprensione: Gobbo sembra scrivere in maniera fin troppo semplice, con periodi brevi e taglienti, che non affaticano. Eppure, è sorprendente soffermarsi e notare come lo stile, contrariamente alle apparenze, sia frutto di grande maestria, perché quella linearità è il risultato della scelta perfetta di vocaboli che calcano precisamente il significato che l’autore vuole trasmettere, così che parrebbe impossibile sostituirli con altre parole. Ecco che la “semplicità apparente” si rivela così una grande dote, che porta più di una volta a complimentarsi per la capacità di utilizzare le specifiche parole usate da Gobbo e rendere così nitidamente e rapidamente il senso perfetto che vuole trasmettere.

storie del necronomicon COP new

Dalla quarta di copertina:

Chi commissionò al pittore Ben Yokhai nel 1893 il misterioso dipinto che nel corso del tempo s’è guadagnato una fama fra le più sinistre?
Qual è il contenuto innominabile del diario rinvenuto accanto al corpo senza vita dello scrittore Robert Ervin Howard nel giugno del 1936?
E infine, cosa ha scoperto di tanto spaventoso il giornalista americano Jack Shepherd?
Queste e altre domande troveranno risposta nelle pagine di questo libro che, partendo dal ritrovamento del più aborrito dei distici, narra degli abominevoli segreti che si celano oltre le nebbie impenetrabili dello spazio e del tempo che da sempre avvolgono il “Libro dei morti”.
Ma occorre usare cautela, poiché vi sono saperi proibiti che è bene ignorare, e rivelazioni sconvolgenti che l’intelletto potrebbe non sopportare.

maxgobbo

L’Autore:

 Max Gobbo alias Massimiliano Gobbo (1967), insegnante, nel tempo libero si dedica alla scrittura. Tra i suoi interessi principali figurano la narrativa dell’immaginario, la letteratura e il cinema.
È autore di diversi romanzi e di racconti fantastici come Garibaldi e i mostri meccanici e la Maschera nera, che rileggono in chiave “retrofuturista” la storia d’Italia. Nel 2010 esordisce con Protocollo Genesi edito da Aracne editrice presentato al XXIII Salone internazionale del libro di Torino.
Nel 2012 è finalista a Giallolatino col suo racconto La palude dei caimani.
Nel 2013 ha presentato al festival internazionale di fantascienza, Sticcon di Bellaria il suo Capitan Acciaio supereroe d’Italia edito da Psiche e Aurora editore, con prefazione di Gianfranco de Turris.
Maggio 2014, sulla prestigiosa rivista “Robot” (Delos Books) appare il suo racconto a tema steampunk, L’incontro di Teano.
Luglio 2014, sulle pagine di “IF – Insolito e Fantastico” rivista edita da Solfanelli compare il suo Aeronavi Italiche.
Il 2015 vedrà l’uscita d’un suo nuovo romanzo L’Occhio di Krishna per Bietti Editore.
Attualmente collabora con diverse riviste: “Skan Amazing Magazine”, “Politicamente.net”, “Letteratura Horror”, e col quotidiano on line “Barbadillo”. È curatore della sezione narrativa per la rivista “Antarès”.

Sherlock Holmes & il Necronomicon
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È appena uscito il secondo volume (di 2) del fumetto “Sherlock Holmes & il Necronomicon”, edito da Now Comics (etichetta 001 edizioni), con testi di Cordurié e disegni di Krstic’-Laci: un pastiche che miscela il detective di Doyle con le atmosfere di Lovecraft.

Proprio in questo secondo volume è contenuto un estratto del mio saggio “L’arte grafica di H.P. Lovecraft” edito da Dagon Press.

Una succosa occasione per leggere un buon fumetto e stuzzicare la curiosità per la lettura del mio saggio.