Sabrina Lardini – Sleeping Sun – Il canto di Mana: libro 1 – Recensione
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Dalla quarta di copertina:

Noriko non è una qualunque sedicenne americana: è una ribelle dall’animo sensibile, in cerca di emozioni che soltanto la natura, custode di antichi misteri, è in grado di donarle. È nella campagna della Napa Valley, in California, che il suo spirito romantico si sveglia, e sono i vigneti dell’azienda agricola di famiglia che custodiscono i suoi ricordi più preziosi legati al padre, scomparso prematuramente. Un pomeriggio la giovane, colta da un improvviso acquazzone, si rifugia in una casa abbandonata dove incontra la misteriosa Mana, sfuggente e ritrosa come un gatto selvatico. Il destino fa sì che le due siano compagne nel nuovo anno scolastico al liceo di Saint Helena, ma ciò non impedisce che tra le due si instauri una feroce rivalità: Noriko, esuberante, spavalda e istintiva, si scontra con la determinazione e la freddezza della seconda, ma presto scoprirà quanto la presenza di Mana sia provvidenziale alla sua vita problematica, tra professori violenti, liti in famiglia e amori non corrisposti.
Vivendo i piccoli e i grandi drammi della gioventù, Noriko varcherà la soglia di un mondo che si cela nell’ombra e verrà a conoscenza di una guerra segreta nella quale lei e Mana hanno un ruolo fondamentale.
Sleeping sun è il grido di un sole ardente di pace e giustizia, la promessa di un nuovo ordine in un mondo dispotico, un sentimento ruggente di amore e libertà.

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Sleeping Sun è il primo libro (edito da EKT Edikit) per il ciclo de “Il canto di Mana”, di una giovane autrice esordiente lombarda, Sabrina Lardini (classe 1991).

Si tratta di un fantasy atipico, che potremmo inserire nel filone oggi molto in voga c.d. Urban fantasy e Young adult: storie in cui i protagonisti sono giovani che affrontano i problemi della quotidianità e dell’adolescenza, ma in un contesto in cui il nostro mondo contemporaneo si impregna di elementi magici e fantastici che descrivono un’altra realtà possibile, fatta di mito e magia, appena accanto alla nostra, nascosta solo da un labile velo.

Il libro, infatti, per una dose importante, potrebbe essere un classico romanzo di formazione, leggibile come tale anche da chi non ami il genere fantastico: incontriamo Noriko e assieme a lei scopriamo i drammi della sua infanzia, il difficile rapporto con la madre e il nonno, l’affetto per il fratellino, ma anche le difficoltà di una vita scolastica costellata di bullismo e rare amicizie, di amori non ricambiati, di professori e figure adulte talvolta al margine con la violenza o l’illegalità.

Partecipiamo al difficile triangolo amoroso che coinvolge Noriko e i suoi migliori amici, Grey e Nina, ma viviamo anche un altro complesso rapporto d’affetto verso Shiroi, esempio del classico ragazzo più grande, affermato, che tanto affascina figure più giovanili e ancora legate al mondo scolastico.

Soprattutto, scopriamo il misterioso ruolo di Mana, nuova studentessa appena arrivata a scuola, all’inizio acerrima rivale di Noriko, che poi diventa sempre più essenziale nella vita della ragazza, stravolgendola e portandola gradualmente alla comprensione di un mondo più vasto.

Un mondo in cui c’è posto anche per un’antica Dea, Hakidonmuya, l’origine di tutta la magia, le cui discendenti camminano ancora sulla terra: veniamo a conoscenza dell’antico popolo delle fate, di un complotto che ha sancito la fine del loro regno, fino a un’ intestina lotta secolare che vede sterminare tra loro famiglie appartenenti alla stessa società magica.

Accanto a sciamani capaci di tramutarsi in animali, e ai Pendolum, capaci di alterare il tempo, o agli Ubiquum, capaci di alterare lo spazio, ed ancora altre tipologie di famiglie dotate di diversi poteri magici, ci sono però i Cacciatori: esseri magici che ripudiano la loro natura e vogliono anzi annientare le fate per poi imporre il loro dominio sul mondo degli umani.

All’oscuro di tutto, infine, ci sono gli Ibridi: esseri a metà tra le fate e gli umani, confusi tra i mortali e ignari della loro vera natura e del loro ruolo nel conflitto. Dei “sonnambuli”, pronti a svegliarsi come il “sole” del titolo.

Chi tra i personaggi della storia si rivelerà un Ibrido? Chi una fata o un mago? Qual è il ruolo di Kachina, la discendente diretta di Hakidonmuya, in questa storia e con quale Ibrido inconsapevole cerca di entrare in contatto, alla ricerca di un Barrier, il più raro tra gli esseri fatati, capace di annullare il potere dei Cacciatori e rendersi introvabile?

Molte di queste domande restano aperte, in un volume che volutamente invita a quello che sarà il proseguimento della storia, iniziando con il farci conoscere bene i personaggi e le loro storie e personalità, in una vicenda che spazia tra varie situazioni, miscelando sfumature prettamente americane con altre dal sapore orientale e persino con saltuari riferimenti ai manga (questo libro avrebbe tutti gli elementi per essere tramutato in un ottimo Shojo delle Clamp).

Resta da fare un commento tecnico: è evidente che questo tipo di storia e trama (e ambientazione) può piacere o non piacere e forse offre spunti più per lettrici, data anche la sensibilità dell’Autrice. Eppure, bisogna complimentarsi con la Lardini per lo stile: è raro trovare un Autore esordiente che scriva così bene – soprattutto considerando la lunghezza del testo di oltre 400 pagine! – in una trama in cui sono rari i cali di tensione e francamente scusabili anche i pochi passi che possano mostrare uno stile ancora in formazione (qualche dialogo magari più ingenuo o qualche termine meno scorrevole o desueto).

In definitiva si tratta di un buon libro, che mostra l’esistenza anche in Italia di Autrici del fantastico che nulla hanno da invidiare alle anglofone Meyer o Rice, tanto per citarne due…

Un libro di cui consiglio la lettura, soprattutto al pubblico femminile che ama le love-story intrise di mistero e magia e personaggi oltre l’umano, ma su di un palcoscenico molto abitudinario, come potrebbe essere una nostra città o anzi un piccolo paese di provincia.

Un libro che, però, lascia la voglia di continuare la storia… Facendo attendere il secondo volume de “Il canto di Mana”!

Disponibile sia in cartaceo, al prezzo di 15,00 euro, che in ebook al prezzo di soli € 2,99!

L’Autrice:

Sabrina Lardini

Sabrina Lardini nasce a Voghera nel 1991. Laureata in Lingue e Culture moderne all’Università di Pavia, attualmente lavora per il secondo libro della saga Il canto di Mana, di cui Sleeping sun è il primo capitolo. Fra i suoi interessi rientrano la lettura dei grandi classici, dei romanzi di avventura, horror e fantasy.
Sleeping Sun è il suo primo romanzo.

http://www.ektglobe.com/prodotto/sleeping-sun/

E.G. Swain – Gli spettri della chiesa di Stoneground – Recensione
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Ho già avuto il piacere di parlare della Providence Press (con cui ho avuto il piacere di collaborare per il già esaurito primo numero della rivista Providence Tales) in varie occasioni: sia parlando del volume dedicato a Harrison, il detective di R.E. Howard, sia per l’antologia del sorprendente William Chambers Morrow, Il creatore di Mostri, ed ecco che nella stessa collana Silver Key arriva un terzo volume; la sola antologia rimasta di E.G. Swain – per suo espresso volere di oblio su altre opere – appartenente al filone delle storie di fantasmi inglesi.

Swain, infatti, amico di M.R. James (a cui dedica l’antologia), ha raccolto in questo volume l’eredità dell’amico, realizzando 9 storie di fantasmi davvero sorprendenti e originali: se James è fra gli indiscussi Maestri del genere – ricordato anche da Lovecraft – ecco che Swain non ha molto da invidiargli, sapendoci offrire delle storie dalle atmosfere davvero credibili e inquietanti.

Dal sito dell’editore: Roland Batchel è il vicario dello sperduto villaggio di Stoneground. È un amabile gentiluomo, appassionato di libri e antiquariato. Ma Stoneground è infestata da misteriose apparizioni sovrannaturali e toccherà al mite reverendo indagare sulla natura di questi fenomeni. Venite anche voi a Stoneground, per un viaggio nel passato con la grande tradizione inglese delle storie di fantasmi.

Il volume contiene il saggio introduttivo C’era una volta un vicario che abitava a Stoneground: la ghost story secondo il reverendo E.G. Swain di Giacomo Ortolani, come sempre ottimo, e nove racconti: L’uomo con il rullo; Ossa alle ossa; La famiglia Richpin; La finestra a oriente; Lubrietta; Il giardino di rocce; Il paralume indiano; Il luogo sicuro; Lo spettro della chiesa.

Caratteristiche del volume: brossurato 14,8×21; 160 pagine; euro 14,90.

Ottima la grafica e la fattura, come sempre per questo editore.

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Ho letteralmente divorato questo volume, che trovo spettacolare, perché ho apprezzato sia lo stile, molto piacevole, sia la descrizione delle scene, con atmosfere davvero inquietanti, ma anche la coerenza e credibilità con cui è trattato il tema degli spettri e revenants (o apparizioni extracorporee), nonché il modo in cui il Vicario li sa affrontare. Altre parti dei racconti, invece, hanno una vena ironica davvero coinvolgente e divertente, al punto da saper stemperare i racconti con risate e leggiadria (memorabile il personaggio di Wardle).

Batchel non è un vero detective del sovrannaturale e questi racconti raramente si abbandonano a banale gore: si tratta invece di racconti in cui l’atmosfera è fondamentale e in cui l’elemento del sovrannaturale giunge a sovvertire le regole della normalità, a volte in senso negativo, a volte persino positivamente, con la posizione del Vicario – appassionato d’antiquariato di grande pacatezza – che si trova a saperne comprendere e gestire le intime regole.

In generale, anzi, non manca quasi un alone di Provvidenza divina nella posizione del Vicario e/o delle entità con cui egli si trova a confrontarsi, in un senso escatologico non molto frequente, anzi quasi assente, in molte altre opere del genere, con una importante eccezione: molte atmosfere di questi racconti, più di altri, infatti, mi hanno ricordato certe storie del Carnacki di Hodgson, al punto da interrogarmi sui possibili contatti tra questi due Autori, almeno a livello di reciproca lettura…

Francamente poche volte, in vita mia, mi sono trovato a leggere un testo senza sapere cosa attendermi e ritrovarmi così soddisfatto dalla scoperta: davvero un recupero di un Autore, quasi assente in Italiano, che merita un encomio e che porrei a fianco a proposte come quelle di L.A. Lewis o L.E. White.

Servirebbe maggiore riscoperta di simili testi in Italia e sono certo che Providence Tales saprà proseguire in questo senso, come lasciano presagire le anticipazioni per il 2018 che riporto di seguito.

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In conclusione non posso che suggerire a tutti di acquistare e leggere questo libro, adattissimo a questo periodo dell’anno: accomodatevi sul divano, davanti a un bel camino acceso e immergetevi nelle atmosfere di Stoneground, ispirata alla reale Stanground di cui Swain fu realmente Vicario, come il suo fantastico personaggio.

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Foto della chiesa © Copyright Dave Hitchborne

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Nasce Italian Sword&Sorcery Books
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Di seguito il comunicato stampa ufficiale:

Siamo felici di comunicarvi la nascita di Italian Sword&Sorcery Books, editore indipendente il cui obiettivo è diffondere la fantasia eroica in Italia.

Noi crediamo fortemente che lo sword and sorcery non sia morto e che meriti maggiore attenzione da parte dei lettori, atteso che una fetta preponderante di essi non conosce nemmeno le principali opere, i più importanti autori e gli elementi distintivi del predetto genere di speculative fiction.

La rivalutazione della spada e stregoneria non può avvenire solo attraverso alcune sporadiche pubblicazioni, poiché qualche libro non ha la forza di modificare i gusti del grande pubblico e nemmeno di andare a toccare la sensibilità dei palati più raffinati.

Riteniamo necessaria una forte presa di posizione e pertanto abbiamo costituito l’Associazione Culturale Italian Sword&Sorcery a cui hanno già aderito molteplici scrittori, critici, giornalisti, intellettuali, illustratori e comunque appassionati.

Pensiamo che sia di capitale importanza muoversi su due differenti fronti: quello della narrativa e quello della saggistica.

Per quanto concerne il primo, abbiamo scelto di adottare il formato del racconto breve (ormai scomparso dalle pubblicazioni odierne), atteso che vogliamo riportare in auge lo stile di azione, avventura, orrore e fantasia tipico delle riviste pulp degli anni ’30 del secolo scorso e ispirarci ai grandi autori che le hanno rese popolari in tutte il mondo come Robert E. Howard, Clark Ashton Smith, H.P. Lovecraft, C.L. Moore, Henry Kuttner, Fritz Leiber e John Jakes.

In ordine al secondo, occorre fornire al lettore saggi e articoli, ma anche occasioni per confrontarsi in eventi e conferenze che abbiano ad oggetto lo studio del genere, al fine di comprenderne l’entità e l’origine.

Per informazioni: francescolamanno@hotmail.it

Sito: https://hyperborea.live/

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/italianswordandsorcery/

Max Gobbo – Alasia – La Vergine di ferro – Recensione
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Dalla quarta di copertina: Alla vigilia del Concilio di Trento con cui la chiesa romana intendeva portare a compimento la controriforma allo scopo di arginare l’eresia dilagante, l’Italia conobbe un flagello così terribile da oscurare perfino l’orrore della Peste Nera. Partorita dal ventre dell’inferno un’orda di demoni s’abbatté sulla penisola. Schiere di mostri immondi chiamati “mai morti” presero a popolare le notti atterrendo la gente e nutrendosi del sangue degli innocenti. A nulla valsero gli editti e le contromisure presi da principi ed ecclesiastici, nessuno pareva in grado di contrastare l’avanzata irresistibile del male. Ma quando giunse l’ora più fosca, in cui l’umanità sembrava condannata alla dannazione eterna, qualcuno si levò in sua difesa. Avvenne così che antichi ordini cavallereschi, monaci combattenti e giustizieri solitari iniziarono una lotta mortale contro le forze dell’oscurità. Tra questi ultimi avventurieri si narra che vi fosse anche una donna, una spadaccina delle più valenti, una vergine dal sangue purissimo cui Dio stesso avrebbe affidato il compito di debellare l’oscura minaccia, il suo nome era Alasia.

Volume edito da Watson, nella collana TrueFantasy a cura di Iascy e Zarbo, che si propone di rilanciare potentemente il genere in italia, questa raccolta di racconti di Max Gobbo conferma la grande abilità di questo Autore, di cui avevo già recensito le Storie del Necronomicon.

Il volume raccoglie tutti i racconti finora scritti sul personaggio di Alasia, tra loro indipendenti, ma legati da un sottile fil rouge che rende il volume quasi un romanzo.

Alasia è un personaggio femminile, in un’Italia distopica di stampo rinascimentale: due elementi – una donna protagonista e l’Italia come scena – che sono rari incontrare già separati e che aumentano il pregio dell’opera, ancor più perché concomitanti. Eroina che ricorda quasi una versione femminile del Solomon Kane di Howard, il personaggio è una Vergine di Ferro, anche nota come Mano Sinistra di Dio, cioè una spadaccina formidabile, dai tratti quasi sovrumani, che ha fatto voto di purezza e castità per servire il Papa e Dio al fine di mantenere quella purezza e quel potere che solo gli permette di affrontare il male, in un viaggio attraverso un’Italia dalle atmosfere cupe e fantastiche, tra villaggi tenebrosi e castelli popolati da mostri.

Alasia è la sola, Vergine, come la Madonna, a poter impugnare una spada benedetta (Iustitia, che lei ribattezza Vindicta), nella cui elsa è incastonato uno dei chiodi della Croce di Cristo, rendendo l’arma letale per qualsiasi mostro ultraterreno, così come micidiali sono i dardi delle sue pistole, fusi con il bronzo delle Porte di San Pietro, capaci di uccidere i mostri invulnerabili. Dotata di queste armi quasi magiche, la donna combatte demoni e vampiri mostruosi, i mai-morti, ribellandosi al tentativo del Nero Signore, emissario del Demonio, di predisporre il terreno per l’avvento del Male, arrivando persino a scontrarsi con sette di eretici e inquisitori perversi, fino a un crescendo in cui è la più grande reliquia italica a essere posta in pericolo: la Santa Sindone.

A tratti affiancata da altri personaggi ben delineati e pittoreschi, Alasia dovrà persino rinunciare all’amore per perseguire un fine più grande: quello del Servizio di Dio, che coincide però con il suo desiderio di vendicarsi della morte dei propri genitori, uccisi proprio dal Nero Signore.

Lo stile di Gobbo sembra emergere da un’altra epoca, come se il libro fosse la riscoperta di un classico perduto che, per tema e atmosfere, ricorda proprio il grande Howard o – per restare in Italia – il nostro spesso dimenticato Emilio Salgari, da Gobbo già omaggiato anche nel romanzo “L’occhio di Krishna” (ed. Bietti): intense le scene di guerra, tetre le descrizioni dei luoghi della paura, maestose e quasi liriche le splendide pennellate di paesaggi e sfondi.

Un libro che mi permetto di consigliare, soprattutto agli amanti del genere, a metà tra heroic fantasy e weird/horror.

Attendiamo altre storie di questo personaggio, che probabilmente non ha ancora terminato le proprie avventure…

H.P. Lovecraft – Oniricon – Recensione
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Ho finalmente potuto sfogliare lo splendido volume “Oniricon – Sogni, incubi & fantasticherie”, contenente materiale di H.P. Lovecraft e curato dal sempre eccelso Pietro Guarriello (massimo esperto di Lovecraft in Italia) e appena pubblicato da Bietti Ed. nella collana l’Archeometro (334 pag., € 20,00): si tratta di un vero gioiello.

Il libro si compone di varie sezioni. Si apre con un saggio introduttivo di Gianfranco De Turris, altro massimo esperto in materia. Segue poi il breve componimento poetico “Al sognatore” di H.P. Lovecraft, dal manoscritto della Brown University di Providence, e presenta poi una prima parte che è costituita da un vero e proprio epistolario, con una introduzione di S.T. Joshi e un ricco apparato di note esplicative. La nota editoriale, con grande chiarezza e tecnicismo, offre precisamente i riferimenti alle fonti originale, cosa spesso assente in altri epistolari e invece di grande utilità. Le principali fonti, infatti, sono i volumi delle Selected Letters americani (o The H.P.Lovecraft Dream book, Necronomicon press 1994, a cura di Joshi, anche se parte di questo materiale è di fatto presente anche nelle Selected letters, ma non tutto!) e un paio di lettere custodite alla University of Minnesota.

Di 41 contributi epistolari complessivi, più della metà sono inediti in Italia, mentre le altre lettere sono state stampate pressoché solo in volumi oggi fuori catalogo o di difficile reperibilità: ma sulla disamina delle singole lettere tornerò dopo, in conclusione dell’articolo. Posso però chiarire immediatamente che molte di queste lettere concernono proprio dei sogni fatti da Lovecraft e dai lui raccontati ai suoi destinatari: è noto come l’attività onirica di Lovecraft fosse caratterizzata da sogni già molto strutturati e ordinati, al punto che a volte da essi egli ha tratto dei racconti già pressoché organizzati; ebbene, in molte di queste lettere trova posto una sorta di selezione di racconti inediti. Non si tratta cioè di lettere dal contenuto eccessivamente pedante o tecnico, bensì soprattutto di grande portata immaginaria e narrativa.

Segue poi una seconda sezione, introdotta da un saggio di Guarriello, contenente alcuni racconti che sono derivati proprio da sogni di Lovecraft, da lui scritti o elaborati come “collaborazioni postume” o che riguardano la materia del sogno, con un apparato critico che li pone in confronto proprio con le epistole contenute nella sezione precedente e che li riguardano.

Questa sezione, contiene (in una nuova e pregevole traduzione) i racconti: Nyarlathotep; La testimonianza di Randolph Carter; Polaris, Celephaїs, Sotto il chiarore lunare, La “cosa” sul campanile e I sogni di Yith. Mentre i primi quattro sono già presenti sia nelle antologie Newton che Mondadori e il quinto solo in Newton, gli ultimi due sono presentati qui per la prima volta in italiano.

Il volume si conclude poi con un altro saggio di Giuseppe Magnarapa e un indice dei nomi.

Oniricon, pertanto, si presenta come un volume di altissimo pregio, sia per contenuti che per cura editoriale e non può mancare nella biblioteca di un vero cultista lovecraftiano…

Concludo tornando in maniera puntuale ed esaustiva sulle epistole. Come noto, ho già ampiamente analizzato le edizioni italiane di tutta l’opera di H.P. Lovecraft in varie occasioni: ripercorrendo l’opera completa in Italia, partendo dalle edizioni più vecchie e dando risalto a quelle maggiormente commerciabili e utili, anche in un aggiornamento recente sulle nuove edizioni del 2016/17, nonché affrontando anche l’analisi dell’intero epistolario in una ancor più recente occasione.

Rispetto, appunto, a questa recente analisi delle lettere di Lovecraft, che invito a consultare in parallelo alla lettura di questo articolo, mi è quindi possibile offrire una tabella riassuntiva dei contenuti di Oniricon che pone appunto a confronto le 41 lettere di questo nuovo volume con le precedenti edizioni e con la raccolta delle Selected letters americana, di cui si ripropone la numerazione originale: ecco, quindi, che nella prima colonna trovate il numero che contraddistingue le lettere degli epistolari americani (5 voll. di Selected Letters della Arkham House), per totali 930 lettere, a cui ho aggiunto, in calce, alcune lettere da me numerate seguendo la numerazione originale, assenti nelle Selected letters, ma presenti in questo volume (tratte, come accennato supra, soprattutto dal volume The H.P.Lovecraft Dream book); nella seconda colonna trovate il destinatario, mentre nella terza la data di compilazione (in ordine cronologico). Seguono i riferimenti di presenza in edizioni italiane: la 4a e 5a colonna sono dedicate alla indicazione di quali lettere sono presenti nel volume “Lettere dall’altrove” (ed. Mondadori, a cura di Giuseppe Lippi) con la relativa pagina di riferimento; la 6a e 7a colonna, in modo similare, sono dedicate alla indicazione di quali lettere sono presenti nel volume “L’orrore della realtà” (ed. Mediterranee, a cura di Sebastiano Fusco e Gianfranco De Turris) sempre con la relativa pagina di riferimento. Nell’ultima colonna, infine, è indicata la presenza, integrale o per frammenti, in altri volumi italiani e più nello specifico “Istantanee” (ed. Mondadori), “Il libro dei gatti” (ed. Il Cerchio, a cura di Pietro Guarriello) e “Il vento delle stelle” (Ed. Agpha press, sempre a cura di S. Fusco), ma soprattutto è indicata la presenza nel presente volume Oniricon.

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Concludo augurandoVi una buona lettura!

Le lettere di H.P. Lovecraft
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Ho già affrontato l’analisi precisa delle edizioni italiane di tutta l’opera di H.P. Lovecraft in due occasioni: ripercorrendo l’opera completa in Italia, partendo dalle edizioni più vecchie e dando risalto a quelle maggiormente commerciabili e utili, e in un aggiornamento recente sulle nuove edizioni del 2016/17. Restava però da affrontare il titanico argomento delle lettere, in buona parte tuttora inedite in Italia: un durissimo lavoro, che però qualcuno doveva pur fare… E quel qualcuno sono stato io.

Di seguito trovate l’analisi dei principali testi contenenti le lettere di Lovecraft. Nella prima colonna trovate il numero che contraddistingue le lettere degli epistolari americani (5 voll. di Selected Letters della Arkham House), per totali 930 lettere, a cui ho aggiunto, in calce, alcune lettere da me numerate seguendo la numerazione originale, assenti nelle Selected letters, ma presenti in alcune edizioni italiane (evidentemente tratte da altre fonti o epistolari americani). Nella seconda colonna trovate il destinatario, mentre nella terza la data di compilazione (in ordine cronologico). Seguono i riferimenti di presenza in edizioni italiane: la 4a e 5a colonna sono dedicate alla indicazione di quali lettere sono presenti nel volume “Lettere dall’altrove” (ed. Mondadori, a cura di Giuseppe Lippi) con la relativa pagina di riferimento; la 6a e 7a colonna, in modo similare, sono dedicate alla indicazione di quali lettere sono presenti nel volume “L’orrore della realtà” (ed. Mediterranee, a cura di Sebastiano Fusco e Gianfranco De Turris) sempre con la relativa pagina di riferimento. Nell’ultima colonna, infine, è indicata la presenza, integrale o per frammenti, in altri volumi italiani e più nello specifico “Istantanee” (ed. Mondadori), “Il libro dei gatti” (ed. Il Cerchio, a cura di Pietro Guarriello) e “Il vento delle stelle” (Ed. Agpha press, sempre a cura di S. Fusco), oltre a un’unica lettera in Studi Lovecraftiani n. 12-bis.

Vi prego di considerare il materiale riservato e di citare la fonte in ogni caso. Buona lettura!

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William Chambers Morrow – Il Creatore di Mostri – Recensione
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Providence press è una nuova e agguerrita casa editrice, che sta cercando di recuperare alcune delle perle introvabili della narrativa pulp e weird di fine ‘800.

In questa riscoperta, dopo Harrison, il detective di R.E. Howard, nella stessa collana ecco arrivare William Chambers Morrow, uno dei precursori di Bierce e Lovecraft, come sapientemente illustrato nell’ottima introduzione del sempre minuzioso Giacomo Ortolani, che apre un nuovo tassello nell’albero genealogico del weird.

Il volume (che omaggia il primo e ritengo migliore dei racconti) si intitola Il creatore di mostri e altre storie dell’orrore, anche se in questo è forse fuorviante: i racconti di Morrow spaziano tra i generi e sono weird nel senso più ampio del termine, perché sono sorprendenti e bizzarri, difficili in realtà da circoscrivere a un genere preciso.

Del resto Morrow scrive in tempi ampiamente precedenti la narrativa di genere contemporanea, senza poter prevedere gli stilemi che sarebbero seguiti a lui e ai suoi successori: così ecco che accanto a racconti dalle forti sfumature horror, ce ne sono altri molto diversi, dove lo straniamento volge al thriller o alla proto-fantascienza, in una purezza di stile che ricorda appunto “liberi” autori come Bierce o Chambers, in bilico sul gotico, ormai lasciato alle spalle, e orientati verso un nuovo modo di stupire il lettore.
Un caso editoriale quindi, che per stranezza mi ricorda autori come Grabinski o persino Ligotti, quello più surreale di Teatro Grottesco.

Il volume, come accennato, contiene il saggio introduttivo W.C. Morrow, uno scrittore “famosamente oscuro” di Giacomo Ortolani e dieci racconti: Il creatore di mostri è il racconto più strabiliante di tutti, con sfumature di horror e quasi proto-fantascientifiche di altissimo spessore; Il nemico invincibile è un racconto dalla forte pressione psicologica, che mi ha ricordato lo stile di Poe.

Lo stiletto permanente è un racconto di grande impatto, curioso nello sviluppo e nel finale, così come lo sono i successivi La porta sbagliata e L’automa maledetto, mentre Lo scassinatore posseduto è un altro brillante risultato di weird su un tema che ritroveremo in storie più recenti e che tuttora ricorre nelle storie horror, sia scritte che su pellicola (non voglio spoilerare nulla, ma… quando capirete cosa intendo, mi stringerete la mano!).

La resurrezione della piccola Wang Tai è un racconto divertente e più poetico degli altri, mentre Un barlume di insolito e L’amuleto fedele sono nuovamente di un surreale molto bizzarro e diciamo pure di grande divertissement e ironia; mentre ancora L’ombra tenebrosa rappresenta un archetipo suggestivo, dal finale sorprendente, che nuovamente gioca su temi che la letteratura posteriore saprà riproporre e ristrutturare in molte sfaccettature.

Insomma, indubbiamente non è il classico volume di storie horror, ma rappresenta un elemento di storia della narrativa weird e grottesca di grande curiosità: un tassello prezioso nella riscoperta della storia letteraria del genere, almeno in Italia dove di questo autore erano stati pubblicati due soli racconti.

Caratteristiche del volume:

  • brossurato 14,8×21
  • 168 pagine

  • euro 14,90
Clive Barker – Schiavi dell’inferno – Recensione
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Proseguendo nella lettura di Barker, di cui ho già recensito Anime torturate, non potevo che affrontare Schiavi dell’Inferno, la storia da cui è tratto il celebre film Hellraiser, primo di una lunga e fortuna serie che ha reso celebre il personaggio di Pinhead, demone con la testa piena di chiodi, sacerdote del dolore e del piacere, nell’Ordine dei Cenobiti.

Indipendet legions ha recentemente ripubblicato il volume, insieme al suo seguito (Vangeli di Sangue, che sto leggendo e di cui parlerò prossimamente e che mi sta letteralmente conquistando).

Dalla quarta di copertina: La novella da cui è stato tratto il celebre film Hellraiser (1987) e che ha dato vita all’iconico personaggio di Pinhead. L’insaziabile appetito di Frank Cotton per i piaceri più estremi lo ha condotto a risolvere l’enigma della scatola di Lemarchand, un portale in grado di garantire l’accesso a un mondo extra-dimensionale abitato dai Cenobiti, membri di un ordine religioso dedicato a insondabili ed estremi piaceri carnali, che lo hanno imprigionato in uno stato di non-esistenza di eterna tortura e sofferenza. Ma la moglie di suo fratello, Julia, ha scoperto un modo per riportare in vita Frank e liberarlo dalla sua prigione di dolore, anche se il prezzo da pagare sarà terribile. Illustrazione di copertina di Daniele Serra. 185 Pagine. Lingua Italiana

Lo stile di Barker è abbastanza asciutto ed essenziale, pur con tratti di maggior profondità, ma questo non vuole essere un difetto, anzi permette di far scorrere il testo piacevolmente. Forse, solo a tratti rari, il dialogo quasi da scenggiatura cinematografica, avrebbe potuto consentire una più schematica partizione dei personaggi, attraverso una più articolata descrizione dei loro gesti o sentimenti, ma indubbiamente questo avrebbe rallentato il dialogo che comunque è pressoché sempre ben strutturato e funzionale alla narrazione.

Come sempre, Barker infarcisce il testo con elementi sadomasochistici, che ne sono il tratto peculiare e distintivo: diciamo che se la cosa non aggrada, forse è meglio soprassedere dalla lettura di Barker in generale, ma al contempo è una sua peculiare visione dell’orrore. Del resto, il fatto che dei demoni che vogliono torturare le loro vittime, anime e corpo, siano dei carnefici, quasi macellai, capaci di far sopravvivere un corpo durante torture ingegnose a base di uncini, catene, lame etc, non è assolutamente fuori posto nel genere di riferimento, né così lontana dalle cupe atmosfere infernali cui lo stesso Dante Alighieri ci ha abituato in letteratura più alta: i demoni Barkeriani sono più moderni e contemporanei, ma pur sempre dei demoni.

In realtà questa componente è solo una cornice del testo, perché il grosso della trama è incentrato sul rapporto “malato” che unisce Julia e Frank, il fratello di suo marito che sta cercando di ricomporre e liberare dalla prigionia dei Cenobiti: la violenza è quella di una coppia di amanti, perversi e malvagi, molto umana e terrena.

L’idea della Scatola di Lemarchand, un marcingegno capace di aprire un varco tra i mondi, è semplicemente geniale: i Cenobiti sono più raffinati di quanto la pellicola possa far trasparire. Il loro tipo di piacere si manifesta nel risvegliare capacità sensoriali estreme, che Barker descrive con maestria e lucidità.

Guardando il film, fin dalla prima volta, ho sempre pensato che la storia fosse molto più raffinata e originale di quanto il merchandise dei film possa lasciar fugacemente immaginare e questo libro conferma maggiormente l’idea: assai più del film, con quasi un baratro in mezzo, si presenta come una storia horror ben strutturata e scritta magistralmente. Una pietra miliare della narrativa di genere.

L’edizione, come per Anime torturate, è ben curata nonostante il carattere sia lievemente piccolo e la tipologia di stampa non sia eccelsa (la copertina è molto sottile) e potrebbe invogliare ad acquistare le edizioni di lusso, in edizione numerata e limitata, che saranno caratterizzate da carta di qualità, rilegatura e immagine esclusive.

Si legge comunque in poche ore e divorandolo con piacere.

 

 

Clive Barker – Anime torturate, La leggenda di Primordium – Recensione
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Da qualche mese Indipendent Legions ha recuperato un Autore simbolo della wave horror anglofona e cioè Clive Barker, famosissimo per la saga di Hellraiser, nota anche a livello cinematografico.

Recentemente è stato pubblicato, sia in ebook che cartaceo, il volume Anime Torturate – La leggenda di Primordium.

Dalla quarta di copertina: Prima Edizione Italiana della novella ‘Tortured Souls – The Legend of Primordium’ di Clive Barker (2001). Nella leggendaria ” prima città ” nota come Primordium, un’antica entità conosciuta come ” Agonistes ” ascolta le preghiere dei supplicanti, persone in cerca di riscatto dal potere assoluto dell’Imperatore e dal giogo della dinastia dei Perfetti, e li trasforma in una combinazione di arte, magia e dolore, in avatar di violenza e vendetta. Lucidique, il Mongroide, Il Maestro delle Falci e Venal Anatomica, le creazioni più aberranti di Agonistes, dominatore dell’oscuro deserto che circonda la città, e del folle scienziato Talisac, metteranno a ferro e fuoco Primordium, nel tentativo di rovesciare l’Impero. Una ‘rivoluzione’ a tinte horror.
Illustrazione di copertina di Ben Baldwin, traduzione di Francesca Noto

Personalmente non avevo mai letto nulla di Barker (anche se sto leggendo Schiavi dell’inferno, che prossimamente recensirò) ed ero molto curioso, ma anche titubante, nel conoscere il suo stile: temevo abbondasse di splatter che, a livello narrativo, trovo sempre ridondante e sterile e invece ho potuto constatare che è molto misurato nelle descrizioni. Spesso lascia intendere, più che descrivere, nonostante siano frequenti i riferimenti a pratiche estreme e violente, tratti sadomasochistici, che peraltro sono uno degli elementi che sicuramente lo hanno caratterizzato a livello di immaginario collettivo.

La storia nasce come insieme di 6 “capitoli” che erano originariamente d’accompagnamento a 6 action figures della McFarlane Toys e che sostanzialmente servivano anche a presentare i 6 personaggi dei modellini: quelli indicati sopra, nella descrizione dalla quarta.

I vari capitoli sono stati poi raccolti nel volume, ora edito in Italiano, ben curato nonostante la tipologia di stampa che ricorda il print-on-demand di Amazon e che potrebbe invogliare ad acquistare le edizioni di lusso, in edizione numerata e limitata, che saranno caratterizzate da carta di qualità, rilegatura e immagine esclusive.

Inizialmente la trama apre uno spiraglio molto suggestivo e geniale, sulla possibilità che il settimo giorno della creazione Dio non si sia riposato, ma abbia continuato a creare e – stanco – abbia fatto qualche “errorino”, come i demoni, tra cui Agonistes.

Il seguito cala di tono, rientrando in una tipologia di storia più comune, in quanto strutturata su piani di vendetta e necessità di alcuni personaggi di fare giustizia.

La storia si apre quindi sulla città di Primordium, in un’atmosfera che in primis mi ha ricordato lo stile delle città antiche dal sapore Howardiano e, in effetti, la trama avrebbe tutti gli elementi per essere quasi sword&sorcery, se non fosse che rapidamente il tutto sterza verso un’ambientazione più moderna, quasi post-apocalittica, dai tratti quasi fantascientifici.

Da grande amante del fantastico, francamente un’atmosfera “classicheggiante” mi avrebbe anche appassionato di più, ma complessivamente la storia mantiene la sua efficacia, nonostante i personaggi appaiano molto meno schiavi della loro “rinata” condizione di creature di Agonistes, rispetto a quanto si potrebbe pensare, mantenendo tratti ed emozioni molto pure e umane, che in parte stridono con la visione d’insieme, diluendo la sospensione dell’incredulità: lasciando perennemente in bilico il lettore, combattuto rispetto a questi “anti-eroi” molto peculiari, a cui però non ci si può che affezionare, almeno rispetto ai protagonisti della storia, condividendone il più possibile le sorti.

Forse non si tratta dell’opera migliore di Barker, essendo breve (circa 80 pagine) e dalla genesi molto peculiare e “commerciale”, ma indubbiamente permette di conoscere l’Autore, invitando magari ad altre letture (ripeto, Schiavi dell’inferno, ora in lettura, già si presenta molto più suggestivo) e comunque offre una storia piacevole, per il divertimento leggero di una sera (in un’oretta si legge in tutta scioltezza).

It – 1a parte – Recensione
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Dopo lunga attesa, ecco finalmente il film di It, prima parte di una versione in due capitoli che, per la prima volta al cinema (la miniserie degli anni ’90, che resta un cult non scalzato da questa moderna, era apparsa in TV e home-video), si offre di mostrare in pellicola le vicende dell’omonimo romanzo di S. King.

Il film ha un cast giovanissimo, in cui tutti sono molto bravi: unica critica è il personaggio di Richie, che nel libro è caratterizzato molto bene, con mille vocine e sotto-personaggi buffi, e per cui hanno scelto l’attore più noto (per Stranger Things), Finn Wolfhard. Ebbene, il personaggio è in effetti sboccatamente divertente, ma molto banalizzato e appiattito rispetto alla fantasiosa idea originale: francamente pare che non sia stato fatto alcuno sforzo per sviluppare il personaggio.

Questa prima metà si concentra sulla parte ambientata nell’infanzia dei protagonisti (ambientazione anni ’80 in questa versione per renderla più contemporanea) ed il film in sé si può considerare carino: nella misura in cui l’opera di King è in realtà un grande e corale romanzo sull’infanzia e la bellezza dell’estate giocando con gli amici all’aperto e sull’importanza della grande e vera amicizia, ecco che questo film centra abbastanza il bersaglio, offrendo una pellicola molto comica e divertente.

Tuttavia, It non è i Goonies e questo film non era un remake di “Scuola di Mostri”, come si potrebbe essere portati a pensare quando si esce dal cinema…

It ha una seconda componente che è quella dell’orrore: sia l’orrore cosmico e assoluto, nel senso più Lovecraftiano (che il romanzo omaggia), sia quello delle paure inconsce, delle piccole psicosi, che globalmente investono il sistema sociale e diventano un ricambio costante di impulsi con il substrato urbano. Perchè, infatti, nella visione di King, alcuni posti sono il male e il male crea i luoghi e le persone, se non sai affrontarlo (e qui mi limito a una parola, con tutti i simboli e le metafore, anche filosofiche e religiose che seguono: “tartaruga”. Simbolo ben presente nel film, anche se buttato in mezzo un po’ a casaccio).

Su questa seconda componente il film penso manchi clamorosamente il bersaglio: qualche scena d’effetto c’è, ma in generale la storia si discosta da quel clima di terrore che aleggia nelle pagine e nella versione anni ’90, offrendo a tratti splatter fine a sé stesso, ma calando di intensità e atmosfera.

Soprattutto, è il finale a deludere, e qui segue un piccolo SPOILER…

Ho detto SPOILER…

Soprattutto il finale scivola in un clamoroso ennesimo “tarallucci e vino” in stile USA: Pennywise – in una sala dove tutti i bambini scomparsi (non mangiati?) letteralmente “galleggiano” (volano?) – viene letteralmente saccagnato di botte dai perdenti, i ragazzini riuniti fra loro, mentre nel romanzo – cosa in cui anche la pellicola anni ’90 aveva fallito – c’è una poetica visione di un rito magico per instaurare un legame mentale con il mostro e distruggerlo sconfiggendo le paure nel legame con gli amici e gli affetti profondi. Una metafora perfetta di quello che nella vita è il continuo duello con i mali e i problemi reali, che nuovamente si perde nella trasposizione su pellicola del libro.

CONCLUSIONE: Insomma, il film in sé è carino, ma non è affatto una trasposizione fedele del romanzo, come ci avevano illuso, e francamente lo ritengo un’occasione persa per fare di meglio, perché davvero il film delude e non convince.

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